Il ridisegno del Veneto: la politica alla prova dei fatti

Giovedì, 25 ottobre 2012

La tormentata, confusa e potenzialmente inconcludente discussione veneta sul ridisegno dei poteri locali è davvero una pessima figura. Come può una regione come il Veneto, che aspira ad essere punta di diamante del federalismo, non saper prendere una decisione sul proprio “federalismo interno” delegando Roma a decidere? Vergogna, soprattutto della Giunta che si è chiamata fuori. Questo tema è la riforma numero uno della politica e riguarda proprio ruolo e destino della Regione.

Come sindacato ci sentiamo interrogati. Sia per il fatto democratico: come si partecipa al governo delle decisioni, e, su quale spazio economico e sociale queste vengono prese? Sia perché trovandoci al punto di incontro di lavoro, economia e società, da questo ridisegno istituzionale discendono molte conseguenze sulla qualità della nostra convivenza.

Quasi tutti convengono sulla sensatezza di due livelli di legittimazione popolare: la regione e i comuni: La prima per legiferare, programmare e controllare; i secondi per gestire. Quindi, via le province come organismi politici: semplifichiamo! Certo, oggi anche un bambino capisce che molta gestione passa per organismi o decisioni di area vasta: ma sono funzioni per le quali basta un secondo livello, con i sindaci ed eventualmente la Regione, a condividere con più forme organizzative, le scelte: comunità montana, area metropolitana o ambiti di comuni aggregati nei servizi. Queste aggregazioni di comuni funzionano egregiamente con casi di eccellenza proprio in Veneto, perché non generalizzarli?

Le polemiche e gli scontri che hanno caratterizzato queste settimane sono avvenuti principalmente sulla geografia amministrativa, ovvero dove e con che dimensioni insediare i nodi del potere territoriale. Trattandosi di organizzare reti e relazioni, gli organismi di secondo livello, città metropolitane (Venezia), comunità metropolitane (Padova che ce l’ ha o Verona che vi aspira) o comunità montane, sono centri di decisioni condivise perché aggregano i Comuni per servizi di area vasta: ambiente e servizi a rete, infrastrutture, logistica, aree dismesse, nuove aree a destinazione strategica. Non è una grande novità visto che già oggi il nostro sistema socio-sanitario funziona così, e bene, basato com’è sul concetto di “unità territoriale ottimale”.

Va esplicitato anche un punto di vista a cui la Cisl del Veneto tiene molto, cui abbiamo dedicato recentemente una manifestazione a Padova: la qualità del lavoro pubblico.

La difficoltà che la politica sta incontrando per realizzare questo ridisegno non è solo dovuta a gelosie localistiche e a conservazione di rendite di posizione sotto mentite spoglie. Dipende anche dal fatto che questo ridisegno richiede alla Pubblica Amministrazione una rivoluzione nel metodo di organizzare il lavoro, di misurare l’efficienza, di valorizzare la qualità e di verificare la produttività. Pensiamo male se pensiamo che la politica non vuole chiedere alla PA quello che non riesce a ottenere da se stessa? Qui c’è una complicità nella difesa dello status quo fatto di privilegi e inefficienza.

Ci sembra che ce ne sia abbastanza per affermare che questo ridisegno esprimerà l’intima personalità del Veneto e della Regione che lo incarna: non basta più una generica esaltazione del territorio, oggi il Veneto deve dichiarare con coraggio in quale modo si deve organizzare il potere che a questo territorio da rappresentanza, equità, forza.