Per un Veneto nuovo serve semplificare la sua geografia istituzionale

Domenica, 21 luglio 2013

E’ utile progettare un Veneto con una nuova geografia istituzionale? Noi siamo convinti che lo sia e che i tempi siano maturi per realizzarla mettendo mano ad assetti amministrativi (Comuni e Province) che risalgono al Ventennio fascista e che hanno resistito a qualsiasi tentativo di aggiornamento (salvo qualche unificazione tra piccoli Comuni). Per farlo bisogna mettere insieme più esigenze collettive e di produrre un disegno di governo locale che possa reggere almeno per i prossimi 20-30 anni. In breve le esigenze: ridurre i costi della PA (compresi quelli istituzionali), spendere in modo più efficace le risorse pubbliche disponibili (finanziamenti, personale, strutture), rispondere ai cambiamenti sociali (invecchiamento, mobilità, nuovi disagi sociali) ed economici (infrastrutture, gestione servizi collettivi). La prima domanda a cui rispondere è chiarissima: servono ancora le province e i 583 attuali Comuni? E’ considerazione comune che le province possono essere abolite e sostituite da organismi di coordinamento a costo zero. La via tracciata dal governo Monti, magari in modo non preciso e parziale, è stata ritracciata radicalmente dal governo Letta con una legge costituzionale che cancella l’istituzione Provincia dalla Costituzione. Se, come auspichiamo, il provvedimento non viene inglobato nella revisione più generale della Costituzione, mantenendo quindi una sua specifica visibilità parlamentare e politica e quindi anche pubblica, siamo convinti che andrà in porto. Se così fosse avremmo un Veneto governato da una amministrazione regionale e da 583 amministrazioni comunali (in gran parte con meno di 10.000 abitanti: le formiche e l’elefante). Ma si possono portare a termine anche altre scelte. La prima è quella di costituire la Città Metropolitana di Venezia. Più ampia è, meglio sarà. Al palo, come tutte le altre, dal 1990 (legge 142 “Ordinamento delle autonomie locali”, presidente del Consiglio Andreotti) oggi rivive nel positivo confronto che alcuni Sindaci (e speriamo anche tra i loro rispettivi Consigli Comunali) a partire da quelli di Venezia, Padova e Treviso sul progetto c.d. Patreve. Se non solo chiacchiere possiamo già aggiungere un altro pezzo alla cartina geo-amministrativa del Veneto prossimo futuro: dopo la Regione anche una importante Città Metropolitana che ne sia il cuore pulsante, capace di portare il sangue in ogni sua parte (pensiamo innanzitutto ad un sistema di collegamenti di primaria grandezza, capace di misurarsi in Europa e oltre. Infine i Comuni: ne abbiamo alcuni con lo stesso numero di residenti che una un condominio di una città. Altri ancora i cui confini amministrativi passano tra una abitazione e l’altra, con le scuole ancora aperte solo grazie all’apporto di alunni figli di immigrati, con un unico assistente sociale magari a part-time, con strade comunali che finiscono in campagna e aree produttive e commerciali sparpagliate in modo caotico nel territorio. 538 Comuni che richiedono, per essere governati di un piccolo esercito di amministratori e consiglieri con relativo apparato tecnico. I pochi tentativi di unione hanno la sorte incerta delle cose che dipendono dall’effimero. La nostra proposta di riorganizzazione è semplice: sì è Comune quando si hanno almeno 4-5 mila cittadini con meno di 18 anni (sono poco meno di 900mila in tutto il Veneto), cioè quando si ha un futuro. Non abbiamo fatto i calcoli ma probabilmente saremo nell’ordine di un centinaio di Comuni con una autonomia reale e servizi sufficienti e quindi in grado di parlarsi senza soggezione, cooperare e interloquire con la Regione.

Ci si arriverà mai? Lo capiremo già nelle prossime settimane e mesi. Ad esempio se Regione e grandi città si metteranno d’accordo per presentare al governo nazionale e quindi alla Unione Europea una posizione comune per partecipare ai progetti e alle relative sostanziose risorse comunitarie per lo sviluppo urbano sostenibile integrato (2014-2020), se sulla città metropolitana si fa trova una proposta unica tra Comuni e Regione. Altrimenti rimarremo ancora fermi, immobili per eccesso di idee e proposte rivoluzionarie. Noi troviamo però più rassicurante pensare che i nostri figli e nipoti potrebbero essere governati da una regione, una città metropolitana e cento comuni.