Fusione Quero e Vas: esempio da imitare

Venerdì, 01 novembre 2013

Un plauso ai 1.206 cittadini di Quero e Vas che si sono recati alle urne per decidere, responsabilmente, sulla fusione dei loro Comuni, optando, in larghissima parte, per il Sì e dando vita ad una unità amministrativa locale che supera di poco i 3.000 abitanti reali (oltre 400 sono residenti di fatto all’estero). Un segnale positivo ed un (piccolo) passo in avanti verso una più adeguata amministrazione delle comunità locali.
A breve sarà il turno di Longarone e Castelvazzo, di Ormelle e San Polo di Piave e, un po’ più avanti di 6 Comuni del Basso Polesine che vorrebbero dare vita al nuovo Comune di Civitanova Polesine. Altre proposte sono in discussione nel padovano e nel veronese ma siamo ancora ai preamboli. Insomma: ben poca cosa in una regione la cui gestione amministrativa è suddivisa ancora oggi in 581 comuni di cui solo 25 superano i 25mila abitanti (immigrati inclusi).
Sindaci, assessori e consiglieri veneti si dimostrano così in generale poco propensi a superare questa frammentazione; forse perché considerano i motivi che spingono verso l’aggregazione verso unità amministrative più consistenti siano passeggeri, momentanei come lo è il loro mandato di governo.
E’ un atteggiamento indubbiamente miope ma forse sarebbe più giusto chiamarlo autolesionista o meglio ancora lesivo degli interessi collettivi che si dovrebbero tutelare. Certo gli amministratori veneti non sono gli unici “renitenti”. Una rapida ricognizione ci dimostra che anche nelle altre regioni (parliamo di quelle limitrofe) non si corre ma nemmeno però si va sempre così a rilento. In Lombardia ad esempio il Consiglio Regionale ha dato da poco il via libera ai referendum su 56 Comuni che dovrebbero fondersi in 18. In Toscana la procedura è stata attivata per fondere 48 comuni in 16 nuove municipalità (ma in 7 casi l’esito è stato negativo) per cui, ad esempio, l’Isola d’Elba resterà amministrata da 8 diversi comuni. In Emilia Romagna 18 i Comuni interessati da progetti di fusione (ma il Sì non ha passato il Rubicone a Savignano). Si contano sulle dita di una mano le fusioni in Friuli Venezia Giulia ed in Piemonte.
La Costituzione prevede che la fusione sia una scelta volontaria che deve essere confermata dal referendum popolare. Nel tempo i governi nazionali ed (alcuni) regionali hanno tentato di favorire queste unificazioni con incentivi economici e semplificando le procedure. Manca però una azione di corretta informazione e razionale persuasione dei cittadini dei piccoli comuni che dovrebbe essere impegno di tutte le istituzioni locali e dei loro rappresentanti e non oggetto di strumentale polemica politica (con la p molto minuscola).
Unire i piccoli comuni non vuol dire solo risparmiare un po’ di euro riducendo il numero degli amministratori (che nei piccoli comuni devono accontentarsi di ben poco). Significa invece avere le dimensioni demografiche (quantità di abitanti, rapporto tra giovani e anziani), economiche (entrate fiscale dirette ed indirette), organizzative (personale, servizi, mezzi) per amministrare sul serio la comunità locale. A meno che non si pensi ad una progressiva abdicazione delle prerogative verso entità amministrative superiori: ciò che in parte già succede per i servizi, l’istruzione, la viabilità. Ma la auspicata cancellazione delle province va in senso contrario: più poteri ai Comuni. Noi torniamo alla nostra proposta di nuova geografia comunale: si è Comune quando tra i propri cittadini ci sono almeno 4-5 mila giovani con meno di 18 anni. In pratica, quando si ha un futuro.