Draghi, la crescita ed il Patto per il Veneto

Domenica, 29 aprile 2012

Le parole spese da Mario Draghi a sostegno di una politica economica europea per la crescita non solo trovano un Veneto attento ma anche, questa volta, non impreparato.

Un Veneto attento perché la sua economia, pur potente, vive in pieno la frattura che attraversa il sistema Italia.

Da una parte le imprese internazionalizzate (imprenditori e lavoratori) che devono andare per il mondo senza istituzioni di accompagnamento, non hanno risposte per le loro necessità di ricerca e formazione e, soprattutto, pagano dazio per operare nel luogo Italia dove pesano, molto più che altrove, i vincoli fiscali, della lentezza della giustizia, della burocrazia, del costo dell’energia e dei trasporti. Questa parte, trainante, di imprese e di lavoro, chiede da tempo ai governi (nazionali, locali) cose contrarie a quelle che sono state fatte e ben attende scelte, vere, di crescita.

Dall’altra l’area delle aziende non esposto alla competizione aperta, più o meno protetto: Pubblica Amministrazione, servizi pubbliciin house, imprese che lavorano per mercati locali di derivazione pubblica, professioni protette. Il nemico di queste aziende è oggi, formalmente, il Patto di Stabilità ma, quello vero, è il rientro dal debito pubblico, imposto da accordi sovranazionali e ancor più dalla ancora incombente minaccia speculativa. In questo caso la crescita passa non tanto per un allentamento della borsa ma dalla efficienza e dalla modernizzazione.

Il Presidente della BCE nei giorni scorsi ha sostenuto la necessità che l’Europa dia avvio a quella che potremo definire la Fase 2: dal risanamento dei conti tramite fisco e taglio secco della spesa pubblica a politiche per lo sviluppo per uscire dalla spirale recessiva che si sta diffondendo e riduzione mirata della spesa pubblica.

E’ quando il sindacato chiede da quando la crisi si è affacciata. Ora sta ai Paesi più forti indirizzare i poteri della UE, comprese l’azione dei loro singoli governi, verso questo obiettivo, il cui tracciato è già indicato nel programma Europa 2020. E’ quello che ci aspettiamo da Monti e (aliena da motivazioni elettoralistiche) dalla politica che sostiene il suo governo.

Visto in questo contesto, il Patto per il Veneto rappresenta un utile valore aggiunto.

Intanto perché è un chiaro segnale: una regione, non ultima, d’Europa pone la sua politica sul versante dello sviluppo. Le misure previste per i giovani, il mercato del lavoro, le nuove imprese, l’ innovazione hanno questo filo comune: dare risposte per la crescita, non facendo scivolare la politica sul versante della conservazione e dei puri tagli orizzontali. Non ultimo il Patto fa propri gli indirizzi di Europa 2020.

La Cisl del Veneto, che ha operato fattivamente per la sua costruzione, ne ha sottoscritto il primo documento, presentando nel contempo precise proposte per la stesura della seconda parte.

Riteniamo che ora tutte le parti interessate debbano responsabilmente operare per concretizzare rapidamente le misure concordate e completare il Patto, dando così dimostrazione che si sta facendo sul serio.

In attesa che vengano rese disponibili risorse finanziarie dalla UE e dallo Stato, gli stessi firmatari del Patto devono affrontare di petto l’irrisolto nodo del credito, compreso quello che passa tramite strumenti pubblici (Veneto Sviluppo va tolto dalla sua legnosità) e saper mobilitare le risorse della sussidiarietà (come i fondi di derivazione bilaterale) che possono consentire investimenti sui servizi socio-sanitari, sulla formazione delle risorse umane e sulla costruzione di infrastrutture.