G. Roverado: Unità e Veneto industriale

Giovedì, 17 marzo 2011
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SVILUPPO INDUSTRIALE DEL VENETO E UNITA’ D’ITALIA

Prof. Giorgio Roverato - Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Scienze Economiche "M. Fanno"

Può essere utile, in questo 17 marzo di celebrazioni giubilari, ricordare che il conseguimento dell'unità italiana non fu un evento solo politico. Esso ebbe anche un graduale (e alla fine decisivo) impatto industrializzante. L'unificazione liberò infatti energie imprenditive fino ad allora mortificate dai limitati confini degli stati preunitari, e dai dazi che penalizzavano la libera circolazione delle merci. Anche se passò almeno un cinquantennio perché si realizzasse un qualche mercato davvero "nazionale", l'abbattimento delle barriere doganali innescò virtuosi meccanismi di crescita dell'economia manifatturiera, e con essa l'irrobustimento del fino ad allora esiguo ceto dei lavoratori industriali.
Crescita economica e crescita di una coscienza (e identità) dei lavoratori costituirono un mix positivo nel divenire della nuova Italia, cui il Veneto - ad essa unito nel 1866 - diede un contributo tutt'altro che marginale. Ripercorriamone brevemente alcune tappe, a partire dall'esistenza nel suo territorio di una delle prime imprese industriali della penisola, il Lanificio Rossi sorto nel 1817 a Schio, e fino a metà degli anni Ottanta dell'800 la più grande azienda del paese. Il suo titolare, Alessandro Rossi, si batté in Parlamento (prima alla Camera, poi in Senato) a favore delle attività manifatturiere, in Veneto più concretamente coinvolgendo parte della grande proprietà fondiaria nell'investimento di rischio.
Ma non fu questo l'unico contributo regionale alla modernizzazione italiana. Nacquero a Padova due istituzioni creditizie (le Banche Mutue Popolari, e le Casse Rurali, ora Banche di Credito Cooperativo) ancor oggi cruciali in vasta parte del paese per il sostegno finanziario della piccola-media impresa, sulla quale si regge buona parte della sua struttura produttiva. Come fu padovana, ad opera di V.S. Breda e della sua Società Veneta per Imprese e Costruzioni Pubbliche, l'operazione che diede vita alla Società degli Altiforni, Acciaierie e Fonderie di Terni, fondamentale nel "decollo" industriale di fine secolo.
Il Censimento Industriale del 1911, voluto a celebrazione del primo "giubileo" dello stato unitario, fotografò i progressi dell'economia della regione classificandola terza - anche se molto distanziata - dopo Lombardia e Piemonte. Accanto al polo laniero, imperniato sul Lanificio Rossi e sull'emergente Lanificio Marzotto (Valdagno) e su una varietà di imprese minori, il Veneto presentava ormai nella pianura da Verona a Treviso una miriade di attività di manifattura leggera occupanti un crescente numero di lavoratori. Ma era anche nata (1905) la Sade-Società Adriatica di Elettricità, guidata da Giuseppe Volpi, al momento del censimento già terza impresa elettrica del paese.
Con la creazione del Porto Industriale di Venezia in località Marghera, progettato nel 1917, Volpi realizzò la definitiva saldatura tra la finanza regionale (già avviata da Rossi) e quella del c.d. triangolo industriale del Nordovest del paese, divenendo attore di primo piano dell'economia nazionale, prima come ministro delle Finanze (1925-28) e poi come presidente di Confindustria (1934-43). Porto Marghera non significò solo l'approdo in regione di attività ad alta intensità di capitale, ma anche, nel secondo dopoguerra, la crescita delle organizzazioni sindacali e della conflittualità sociale che coinvolse nell'autunno "caldo" del 1969 buona parte dei lavoratori della regione.
Oggi il Veneto rappresenta una delle più dinamiche aree regionali europee, tale permanendo nonostante la recessione indotta dalla crisi mondiale del 2009. È anche questo il frutto della lunga stagione avviata in quel lontano giorno di marzo del 1861.
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