G. Della Zuanna: Italia 2061

Giovedì, 17 marzo 2011
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2061, ITALIA UNITA 200 ANNI

Conversazione con il professor Gianpiero Dalla Zuanna

La sede del Dipartimento di Scienze Statistiche, via Cesare Battisti, in pieno centro storico a Padova, è uno spazio speciale, con cortile e porticato ed un giardino curato. Ci aspetta con la consueta disponibilità il preside, Gianpiero Dalla Zuanna, demografo e autore di libri e ricerche sulla popolazione della penisola italiana e sul Veneto che hanno lasciato il segno. Tanto per citare: Il Veneto, storia della popolazione dalla caduta di Venezia a oggi (2004, ed. Marsilio), La rivoluzione nella culla, il declino che non c'è (2008, ed. Università Bocconi), Veneti che cambiano 1971-2021 (2007, Consiglio Regionale del Veneto). Al prof abbiamo chiesto di raccontarci come potrebbero essere gli italiani tra cinquanta anni, quelli che festeggeranno i 200 anni dell'Unità d'Italia.
La conversazione parte con una nota di prudenza - Se avessi risposto ad una analoga domanda nel 1961 probabilmente non avrei indovinato niente. Nel 1961 l'Italia era un paese con una natalità ancora molto alta ed i nati supplivano bene il numero dei decessi, tra il Nord ed il Sud la differenza di fecondità era fortissima (al Sud il doppio del Nord), si emigrava ancora tanto, la mortalità infantile era ancora elevata.
Di sicuro non avrei previsto che la natalità sarebbe calata così fortemente e che saremmo diventati un paese di immigrazione. E' difficile fare previsioni in questo campo. E' difficile pensare al percorso che faremo. Ci sono in continuazione avvenimenti non previsti, vedi quello che succede nei paesi nord africani in questi giorni. Sono paesi che hanno avuto un boom demografico che ora è in calando e dove quindi si sta aprendo la cosiddetta "finestra demografica favorevole": molta gente in età di lavoro e poche persone da mantenere. In Italia lo abbiamo avuto il secolo scorso tra gli anni '30 e gli anni '70.

Detto ciò il prof non sfugge e, per rispondere alla domanda di come sarà l'Italia tra 50 anni, porta in campo tre le variabili che giocano sul nostro futuro: la mortalità, la fecondità e le migrazioni. In pratica le stesse che hanno rivoltato come un calzino la caratteristiche della popolazione italiana dal 1960 ad oggi.
"La mortalità: tutto fa pensare che si guadagnerà in aspettativa di vita. Oggi siamo sugli 82 anni; anche se si recuperassero solo due o tre anni in più (che sembrano pochi) l'effetto sulla consistenza della popolazione anziana sarebbe fortissimo. Questo aumento della sopravvivenza - dicono gli esperti -dovrebbe anche significare un aumento degli anni in buona salute rispetto a quelli in cattiva salute, perché le forze che determinano l'allungamento della vita sono le stesse che causano l'aumento della qualità della vita. Ad esempio: le morti per embolia cerebrale vengono ridotte grazie alle pillole per la pressione, ma queste stesse pillole migliorano anche le condizioni di salute della persona.
Un paese di badati e badanti dunque? "Non è proprio così. Intendiamoci, in termini assoluti crescerà probabilmente il numero delle persone anziane in cattivo stato di salute ma aumenteranno di più quelle in buono stato di salute. E poi, siccome la speranza di vita riguarda sia gli uomini che le donne, aumenteranno anche gli anni in cui l'assistenza reciproca è tra la coppia". E l'aumento delle separazione e dei divorzi? "Molto spesso sono seguiti da un nuovo accoppiamento".
Sulla fecondità non c'è molto da aggiungere a quello che già tutti sanno. Gli italiani, come scrive Dalla Zuanna in La rivoluzione nella culla, non fanno più tanti figli in confronto con i loro nonni. Ma questo succede in (quasi) tutti i Paesi del mondo. Negli ultimi anni c'è stata però una ripresa delle nascite che si è concentrata nelle regioni più ricche del Nord e del Centro mentre nel Sud la fecondità continua a scendere.
Ma la terza variante, quella della immigrazione, sarà fondamentale nel delineare i connotati dell'Italia 2061.
"I numeri dei prossimi 20 anni in Veneto sono impietosi. Chiudendo oggi le porte alla immigrazione, quindi considerando comunque l'attuale numero di immigrati già residenti nella nostra regione, già tra vent'anni per ogni 2 persone che compiono sessant'anni ne avremo una sola che ne compie venti. La richiesta di lavoratori stranieri rimarrà quindi alta". Il sindacalista che andrà a fare un'assemblea in un'azienda veneta tra qualche decina di anni si troverà di fronte a volti che sempre meno ricorderanno i tipici caratteri somatici degli italiani (che pur sono già tanti e molto diversi).
Diventeremo come gli Usa, prof? "Nessun paese è eguale all'altro- sottolinea- e poi ricordiamoci che gli Stati Uniti d'America sono un paese di immigrati, non è così per i paesi dell'Europa, Italia compresa".
Ma questa Italia del futuro sarà segnata da separazioni culturali profonde o il nostro modo di vivere, la nostra cultura intesa come insieme di usanze, abitudini, quotidianità, è così forte da attrarre ed assimilare lo straniero, potremmo dire "a farlo diventare italiano"? "Noi, e penso soprattutto al Veneto, abbiamo tutte le cose che favoriscono l'integrazione. La prima è quella del sistema famigliare, la famiglia come asse portante della vita. Ebbene la gran parte degli immigrati che vengono in Italia hanno un sistema famigliare simile al nostro, a cominciare da chi arriva dai Balcani. Così ad esempio non è stato per gli italiani che emigravano in Australia, dove l'idea di famiglia era molto diversa, meno vincolante. Poi il lavoro: la Repubblica fondata sul lavoro è nel Dna dei veneti, è il lavoro che dà cittadinanza. Ed è il lavoro il motivo che porta qui la grande maggioranza degli stranieri, sempreché il lavorare dia soddisfazione come la possibilità di avere una casa, di far studiare i figli. La terza cosa, da non trascurare, è il clima ed il modo con cui si vive quotidianamente, la vita sociale. Basta vedere i livelli di integrazione tra i ragazzini. L'importante è che gli immigrati non trovino, come è per le donne, un tetto di cristallo che impedisce loro di arrivare in certi posti, di salire nella scala sociale. Da questo punto di vista le cose non si presentano facili: l'Italia si presenta con fortissime ingessature".

La conversazione è finita ed il prof è chiamato a fare il preside. Ma ci siamo fatti un'idea degli italiani che festeggeranno i 200 anni della nascita del nostro Paese: tanti lavoratori che vantano genitori immigrati, tanti anziani che gli immigrati gli hanno visti arrivare da bambini. Un Paese con molte più sfumature di colore di quelle a cui ci stiamo lentamente abituando. Sta anche a noi fare in modo che tutte volgano comunque verso il bianco, rosso e verde del Tricolore.

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