Tanta politica ma zero governo

Lunedì, 31 gennaio 2011

Il terzo anno della crisi si é aperto con previsioni che dovrebbero preoccupare tutti. La crescita, virgola più, virgola meno, sarà modesta. Ancora più modesti, se non insignificanti, i suoi effetti sulla occupazione. Aumenteranno invece la distanza con i sistemi economici più competitivi, la disoccupazione cronica, l'inoccupazione dei giovani, la precarietà delle famiglie a cui la crisi ha rapito il lavoro, la sperequazione tra chi ha e chi non ha. Tutto ciò riguarda anche il Veneto, regione tra le più benestanti d'Europa.
Non c'è dubbio che questa sia la strada che ci porta al declino, ma è altrettanto vero che non vi sia rimedio. Come in altri momenti difficili il nostro Paese, e con esso la nostra regione, può farcela alla condizione di mettere in campo tutte le sue energie e concentrandole su obiettivi comuni.
Alla politica spetterebbe il compito di promuovere questo sforzo comune, ai governi (nazionale e locali) di concretizzarlo. Alle Parti Sociali (che in Italia contano molto) metterci quel qualcosa di più che fa da contrappeso a carenze non immediatamente rimediabili (come il pesantissimo debito pubblico che ci portiamo dietro): la coesione sociale. In breve avremmo bisogno di tanta politica, di molto governo e di forte partecipazione per ricostruire quello che la crisi ha, definitivamente, abbattuto.
In effetti c'è una grande abbondanza di politica che, dopo una breve fase di semplificazione, è tornata a moltiplicare le sue rappresentanze più o meno organizzate. L'ultima forza politica si può dire che è nata nelle piazze ieri, dove si sono aggregate attorno alla Fiom, le aree della "sinistra radicale". Un fatto questo che indebolisce la Cgil e l'intero movimento sindacale.
Ma questa abbondanza di politica non genera nulla di utile. Anzi. L'attenzione della politica, le sue energie, le sue intelligenze, sono da mesi indirizzate su questioni che nulla portano alla soluzione dei problemi. Così quello che ci manca è il governo. Manca a Roma e sta progressivamente mancando negli enti locali. L'occhio degli esecutivi non guarda al Paese ma alle urne elettorali, le scelte non riguardano la ruvidità del futuro ma al mieloso consenso elettorale.
L'atteggiamento verso la vicenda Fiat ne è l'emblema: aprioristica strumentale contrarietà da una parte, incoerente ed opportunistica approvazione a distanza dall'altra. Non a caso il nodo della competitività del sistema economico e delle imprese è stato caricato completamente sulle spalle di sindacato e imprese. Non a caso la politica industriale si è ridotta ad un tavolo dove si opera, anche bene, per salvare grandi aziende in crisi, ma nulla di più. Non a caso la questione fiscale, dove alle casse vuote dello Stato corrisponde una pesantissima tassazione del reddito di lavoro, non trova risposte se non nell'attesa di un miracoloso federalismo.
In questo modo non si va da nessuna parte buona ma in tante cattive. Forse è ora di fare un reset ?

Franca Porto