Quello che possiamo fare per il lavoro in Veneto

Sabato, 04 agosto 2012

Nei prossimi mesi per il lavoro in Veneto si profila un ulteriore riduzione dei posti e degli occupati.
Lo prevedono le aziende (come riporta il rapporto Excelsior: 24.000 occupati in meno nel Nordest a fine 2012). Lo possiamo prevedere anche noi se mettiamo in conto gli effetti della recessione con quelli del taglio della spesa pubblica, l’evoluzione in negativo di crisi aziendali finora contenute (sotto l’aspetto occupazionale) da cassa integrazione, la riduzione del numero delle nuove assunzioni rispetto alle cessazioni, il blocco delle assunzioni nel settore pubblico.
Questa ulteriore restrizione del cerchio del lavoro avrà effetti molto più pesanti di quanto potrebbe dar da intendere il numero relativo di posti di lavoro che si perderanno.
Quattro anni ininterrotti di crisi stanno rendendo infatti cronica una parte sempre più consistente della disoccupazione veneta: giovani che rinviano di anno in anno il loro ingresso (quello vero, non spot) nel mercato del lavoro, adulti che, perso il lavoro, escono dalle coperture sociali senza trovarne uno di nuovo, famiglie colpite dalla perdita di uno o più redditi di lavoro che stanno consumando la riserva dei risparmi.
Il dimagrimento che avanza sta intaccando organi vitali del corpo occupazionale Veneto che, ricordiamo usando una immagine molto cruda,  se fino a tre anni fa cercava disperatamente maschi italiani da assumere oggi si limita a sanare badanti irregolari.
E’ questo un destino ineluttabile? O, per meglio dire: è tutto nelle mani di Monti, dell’Europa, della finanza internazionale oppure qui, in Veneto, si può fare qualcosa per evitare questo ulteriore sgretolamento dei fondamentali su cui si è poggiato la costruzione di un benessere sociale diffuso?
Noi siamo convinti che, proprio per quanto riguarda il lavoro, le Istituzioni e le Parti Sociali venete possano fare molto per ridurre i danni della crisi, contenere gli effetti negativi del combinato recessione/rigore, contrastare il dimagrimento e soprattutto l’indebolimento conseguente. Possono soprattutto fare cose utili che non si possono far fare né Roma né a Bruxelles. Non farle sarebbe quindi segno di impotenza o di incapacità, sicuramente di corresponsabilità nella crisi.
Di cosa parliamo?
Ad esempio dell’accordo che stiamo concretizzando con le associazioni artigiane che rafforza, tramite l’ EBAV, la funzione della bilateralità a sostegno a imprese e lavoratori in tempo di crisi.
Oppure di politiche per ripartire maggiormente il lavoro che c’è. Concretamente: favorire il ricorso ai contratti di solidarietà difensivi in alternativa ai licenziamenti ma anche l’uso dei contratti di solidarietà espansivi. Sui primi si è consolidata una ampia esperienza positiva (dai mille posti salvati alla Safilo agli accordi nel settore commerciale). Sui secondi invece siamo all’anno zero.
Come anche del puntare ad un pieno consumo delle risorse UE per la formazione, la riqualificazione ed il collocamento ai lavoro. La messa in opera di tutti questi strumenti può, ad esempio, anche evitare l’assurdo anacronismo per cui, in tempi di disoccupazione, ci siano posti di lavoro scoperti.
Queste ed altre scelte devono costruire le pagine della seconda parte del Patto per il Veneto e di un atteso accordo con Confindustria Veneto che metta in comune la capacità progettuale delle nostre organizzazioni: quello che serve per ridare fiducia e strumenti alle nostre imprese.