2014. Ripartire con il lavoro, ripartire il lavoro

Mercoledì, 01 gennaio 2014

Nel suo quinto anno della crisi non possiamo illuderci, in Veneto come in Italia, che ripetendo ciò che abbiamo fatto fino ad oggi, il tempo abbia finalmente ragione sulla crisi ed in particolare sul più micidiale dei suoi molteplici effetti nefasti: la distruzione di posti di lavoro. Distruzione che genera altre distruzioni: di redditi, di benessere, di socialità, di dignità, di speranze.

In Veneto siamo a meno centomila posti cancellati. Ma in pericolo ce ne sono molti altri. Quelli delle decine di migliaia di lavoratori, soprattutto dell’industria, che stanno giungendo progressivamente al confine ultimo della Cassa Integrazione senza che il lavoro nella loro azienda si sia riaffacciato. Il 2013 è stato l’anno della Cig Straordinaria (40 milioni di ore), quella della crisi pesanti e il 2014 potrebbe, per molti, rappresentare il passo definitivo oltre la linea gialla, oltre la quale si è disoccupati. In tempi normali (prima del 2009) non si stazionava più di tanto in questo territorio dei senza lavoro: le occasioni di una nuova occupazione erano continue. Ora non è più così: per molti la disoccupazione sta diventando una condizione cronica, magari allievata da qualche sporadico lavoretto che le grandi stagionalità della nostra economia regionale ancora offrono: turismo, agricoltura, ecc. Anche il lavoro pubblico, compreso quello a tempo determinato o precario, non è (e non sarà) più una via di scampo mentre la ripresa delle esportazioni può solo limitare i danni in quanto incide solo su una parte del sistema occupazionale.

Bisogna dunque prendere di petto la questione lavoro, come produrre nuovo lavoro. Per chi lo ha perso e per chi lo cerca per la prima volta. Le cose che si possono fare a livello locale (regionale, territoriale) sono ancora molte e non devono aspettare il placet di Roma. Ne richiamiamo tre.

La prima è che tutti i soggetti istituzionali e di rappresentanza dovrebbero assumere come metodo di lavoro prioritario quello del confronto per risolvere i problemi che rallentano o frenano la ripresa economica e quindi l’occupazione. Si tratti del trasporto su treno che della rete elettrica, dell’equilibrio tra ambiente e rete infrastrutturale, di qualità dei servizi pubblici e costi a carico della collettività. Ci sembra invece che si vada esattamente in senso contrario: polemiche su polemiche.

Poi si potrebbe intervenire per favorire la piena copertura di tutti i posti di lavoro che si rendono disponibili. Per ottenere questo risultato basterebbe: usare meglio internet, rendere più flessibile la formazione professionale, favorire chi si vuole spostare da una località all’altra per motivi di lavoro.

Dopo le denunce degli anni scorsi cosa si è fatto di concreto?

Infine serve aprire una discussione senza ideologismi e pregiudizi sul tema per eccellenza tabù (altro che articolo 18 !): la ripartizione del lavoro. La ripartizione del lavoro che c’è già e di quello nuovo, per dividerlo a favore di più persone. Ci chiediamo, ad esempio, come mai tutte le parti che oggi osannano i Contratti di Solidarietà “difensivi” quando si tratta di discutere su quelli “espansivi” diventano improvvisamente di un silenzio assordante?

L’emergenza lavoro merita ben altra attenzione ed apertura mentale, specie in una regione, come il Veneto, che sul tema lavoro si è sempre dichiarato laico.