Primo Maggio: in Veneto c’è molto lavoro da fare

Lunedì, 30 aprile 2012

Lavoro. Ripensiamo a come se ne discuteva in Veneto quattro anni fa, nel 2008: cosa e come fare per raggiungere i cosiddetti “obiettivi di Lisbona”, essenzialmente come aumentare la percentuale di donne occupate. Per il resto vi eravamo vicini.

La crisi internazionale ci ha portato molto indietro, su tutto il fronte: tagliata l’occupazione maschile, abbassate di molto le possibilità di accesso al lavoro dei giovani, spostato le nuove assunzioni sul lavoro temporaneo. Nel 2012 abbiamo meno persone che lavorano e più persone senza lavoro. L’evoluzione della crisi (che riguarda però solo alcuni Paesi, molti dell’Europa, e tra questi, il nostro specie nelle sue parti più globalizzate) ha bloccato sul nascere i primi segni di ripresa, e rischia di cancellare altre imprese e di distruggere altro lavoro.

Questa descrizione, pur nella sua crudezza, omette però la malattia principale che sta debilitando il sistema produttivo: la progressiva perdita di competitività.

L’effetto è che, non solo le aziende chiudono e si brucia lavoro, ma anche che non c’è sostituzione, ricambio, nuovo che cresce sul vecchio. Non stiamo semplicemente facendo dei passi indietro: stiamo camminando in senso opposto allo sviluppo. Non era mai successo prima. Dal Dopoguerra abbiamo vissuto crisi, forse anche più dure, ma tutte di crescita, dove il bilancio tra cessazioni di imprese e posti di lavoro e nuove attività e nuovi occupati si è sempre risolto in positivo, fino al 2008, appunto.

Così, se vogliamo recupere il lavoro per chi c’è e per chi ci sarà, non basta che il resto del mondo riprenda a crescere e a comprare prodotti che sono sempre meno i nostri e sempre di più quegli degli altri. Non basta che i nostri conti pubblici trovino pareggio. Non basta nemmeno che l’Unione Europea, con l’Italia protagonista, si metta alla testa di una politica per far ripartire lo sviluppo. Tutto ciò può solo rallentare il nostro progressivo allontanamento dall’area dei Paesi più sviluppati (e con maggiore occupazione).

Serve anche e soprattutto girarci e tornare a camminare nella direzione giusta, quella verso cui andavamo fino a qualche decennio fa. Lo si può fare se tutto il Paese, in ogni sua parte, in ogni sua componente compie questo sforzo. Solo così si possono (ri) costruire le condizioni affinché sia ancora un affare aprire produzioni in Italia e perché quelle che già ci sono possano crescere. Quali siano queste condizioni lo sappiamo bene tutti. Il punto è se vogliamo finalmente cominciare a darci da fare. Il Patto per il Veneto, la cui prima parte firmeremo proprio domani, è un cominciare a fare in una parte, non secondaria, dell’Italia. E’ uno dei lavori che deve fare il sindacato, quello che forse più può produrre nuovo lavoro. Perché il nuovo lavoro che ci serve non ce lo regala più nessuno e nemmeno piove dal cielo.