Il lascito Scola al lavoro veneto

Giovedì, 08 settembre 2011

Il Patriarca di Venezia, Angelo Scola, è stato, nei fatti, l'autorità morale di riferimento per questo nostro Veneto. Un'autorità in grado di indicare a questa regione d'Europa il futuro e la cui grande forza si è sentita di più, e non a caso, proprio nella difficile crisi che stiamo ancora attraversando. Crisi venuta da lontano ma capace di far traballare l'intero orizzonte delle sicurezze venete: lavoro, benessere diffuso, prospettiva di un futuro positivo e conseguentemente di mettere a dura prova la stessa coesione sociale delle nostre comunità.

Della autorevolezza del cardinale Scola potremmo però non sentirci orfani se sapremo coltivare quel patrimonio morale, culturale e sociale che ci ha lasciato, regalato, nel suo lungo percorso pastorale. Un compito che coinvolge ed accomuna l'intelligenza e la buona volontà di credenti e laici, ma che spetta soprattutto  a chi rappresenta interessi e valori collettivi.

Di questo grande lascito, il bene di cui vogliamo più fare tesoro è la sua attenzione al tema del lavoro e dello sviluppo. A cominciare dalla sua vicinanza fisica, diretta, da parroco, con le persone che lavorano ed in particolare con i lavoratori di Porto Marghera, le vicende dei quali sono tra le più emblematiche della distanza che intercorre tra il lavoro, la persona che lavora ed il capitale, delle contraddizioni e dei limiti della globalizzazione e della spersonalizzazione di chi decide le sorti di migliaia, milioni di persone in carne e ossa.

In occasione dell'ultimo Natale, commentando la condizione degli operai della Vinyls, il Patriarca  esortò che "nel mondo del lavoro e dell'economia il primato dell'uomo e della sua dignità sia riaffermato con vigore e con equilibrio".

Questa centralità dell'uomo è il cuore della visione del lavoro e dello sviluppo che ci ha proposto in più occasioni e, tra queste, l'incontro - dialogo del 14 giugno scorso con Raffaele Bonanni. Lavoro e sviluppo, ci ha ricordato, hanno un unico soggetto: la persona, ma, ancor più "alla persona fa capo il dovere dello sviluppo". Avevamo scelto per quell'atteso incontro una frase del Vangelo di Marco particolarmente impegnativa "Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio, altrimenti il nuovo rattoppo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore" il cui significato fu subito colto dal cardinale "le sfide cui devono fa fronte le nostre società non ammettono modelli di sviluppo ormai logori, ma- aggiunse- innovare non significa necessariamente scommettere sull'inedito". Uno sviluppo nuovo- questo il suo pensiero- richiede infatti solidarietà, sussidiarietà, responsabilità e sostenibilità, quattro elementi che trovano il loro significato più proprio quando esprimono la dimensione costitutiva dell'uomo, la sua socialità, la sua dignità, la sua natura di soggetto libero ed infine la sua collocazione in un ambiente (il creato) da salvaguardare e consegnare alle generazioni future.

Una visione fiduciosa dell'uomo che il cardinale Scola, nelle sue parole di commiato da Patriarca di Venezia, ci ha riproposto alla Fenice invitandoci alla speranza perché la bestia nera (la crisi) passerà e passerà se noi cambieremo.

Franca Porto