I segni che la crisi lascia. Guardare al dopo un atto di responsabilità, praticare democrazia la soluzione ?

Lunedì, 22 giugno 2009

In questa crisi grave e complicata, il sindacato italiano sta dando prova di operare con estrema serietà. E questo non è un fatto nuovo. Se ambito privilegiato delle organizzazioni dei lavoratori è infatti quello di distribuire risorse e libertà, esse sono anche "professioniste" nella gestione delle crisi: vengono convocate, si confrontano e agiscono. I valori, le conoscenze, le abilità e i comportamenti messi in atto per governare il presente sono, a mio avviso, una dotazione importante che va investita anche per riflettere sul dopo crisi.
Guardare in avanti, per non trovarci impreparati nei prossimi mesi, quando gli effetti della recessione potranno essere più drammatici, è un atto di forte responsabilità che siamo chiamati a condividere con gli altri attori istituzionali e della società civile. Le crisi infatti portano arretramento, depressione e perdita per il Paese, per il mondo del lavoro e i per lavoratori. Anche qualora i deboli segnali di ripresa si confermassero, non ci sarà, probabilmente, da subito un rilancio produttivo e soprattutto occupazionale. Servono tempo per risollevarsi, e cambiamenti di rotta. Non è sufficiente, per quanto necessarie, invocare "riforme strutturali" elencando, da posizioni diverse, gli ambiti di intervento: sanità, pensioni, assistenza, ammortizzatori sociali, fisco; e ancora sburocratizzazione, istruzione, infrastrutture, legalità, liberalizzazioni. E' necessario costruire consenso intorno ad una visione di sviluppo e di futuro.
Benessere e progresso devono essere ripensati. Senza regole non è tuttavia possibile realizzarli: anche i grandi governi mondiali sembrano avere riscoperto il ruolo dello Stato contro la moda liberista. Ecco allora alcune questioni importanti che devono essere discusse collettivamente: quali regolamentazioni vogliamo? Fino a quale punto?
Un altro nodo cruciale da affrontare riguarda le crescenti disuguaglianze, accentuate dalla recessione. Si tratta dunque di interrogarsi come suggerisce Amartya Sen su quali siano gli aspetti della vita umana che debbono essere resi eguali. E come lo stesso premio Nobel per l'Economia ci insegna bisogna elaborare altri indicatori della crescita economica, a parte il prodotto interno lordo. Il grado di eguaglianza di una determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie di opportunità di acquisire un'adeguata qualità della vita o anche una realizzazione completa di sé, che può essere resa con la bella immagine di una "vita fiorente" (flourishing life), ossia di una vita che fiorisce in tutte le sue potenzialità.
Guardando al dopo: paure e insicurezze di cui farsi carico; la maturazione della dimensione comunitaria.
I rischi più gravi sono la disoccupazione e la sfiducia. Il Censis rileva che il 68,3 % di italiani pensa che si andrà in peggio e osserva <<il "segno" che la crisi sta lasciando riguarda soprattutto le prospettive che man mano danno l'impressione di chiudersi: fine della crescita costante,incertezza sul welfare, precarizzazione del lavoro specialmente per i figli. Sembrerebbe quasi la fine di una lunga fase di imborghesimento della società italiana e l'inizio, per il ceto medio, della paura di perdere terreno.>> . Lo stesso studio nota le caratteristiche peculiarmente terziarie della nuova disoccupazione <<oggi la crisi si rivela come la prima vera crisi del lavoro terziario (gli operai cassintegrati tornano a lavorare in questi mesi mentre in cassa integrazione vanno migliaia di impiegati) Se dobbiamo pensare a un dopo che non sia peggio, dobbiamo quanto prima rivedere a fondo il ruolo e gli spazi problematici dell'occupazione terziaria, anche perché si tratta del tema che più direttamente influisce su quella crisi (di confusione e di mancanza di prospettive) che sta travagliando il ceto medio italiano>>.

Variegate sono state le risposte che ci hanno permesso di reagire alle difficoltà degli ultimi mesi; una che ha certamente funzionato e che noi sosteniamo con forte determinazione è quelle del micro welfare, <<quello degli enti locali, delle piccole banche territoriali, che hanno messo in campo interventi mirati, a volte anche piccolissimi, ma che hanno saputo tamponare tante emergenze e hanno così permesso a quel determinato contesto di "tenere">>, delle parti sociali aggiungiamo noi alla ricerca continua di soluzioni praticabili.
La maturazione di una dimensione comunitaria, sia come processo sociale, sia come responsabilizzazione piena dei poteri amministrativi locali ci sembra una strada importante da privilegiare. Prospettiva che va perseguita anche per ridurre l'esperienza di Unsicherheit che caratterizza le società contemporanee, termine tedesco che designa quel complesso di esperienze, tradotte in italiano, come incertezza, insicurezza esistenziale e assenza di garanzie di sicurezza per la propria persona (precarietà). Gli individui che vivono queste angustie <<non trovano il coraggio di osare, né il tempo di immaginare modi alternativi di vita insieme>>. In momenti storici come l'attuale esse crescono e, insieme alla paura e l'ansia, aumentano la disperazione e il pericolo di derive di tipo estremistico.
Le istituzioni politiche esistenti non potendo fare molto per offrire sicurezza o certezza indirizzano l' inquietudine verso una sola componente , quella della sicurezza personale, unico campo in cui può essere fatto qualcosa. Il problema, come rileva Bauman, è che le misure adottate a tal fine, non solo non vanno alla radice dell'ansia, ma producono divisione, isolamento e tolgono energia per compiti che possono essere svolti in comune.

Agire la democrazia per costruire futuro
L'opportunità di mutare questa condizione e di costruire futuro è legata al recupero della capacità di coagulare persone, gruppi sociali, interessi, istituzioni, nuova classe dirigente. Ed è congiunta all'attitudine di agire la democrazia, aumentando gli spazi della discussione pubblica e dell'agorà <<lo spazio privato e pubblico al tempo stesso. Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo ... per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possono nascere e prendere forma idee quali "bene pubblico", "società giusta" o "valori condivisi">>
Né l'economia di mercato, né la società sono processi che si autoregolano. Nei confronti della domanda di sicurezza, crescente nella società civile, entrambi mostrano il proprio limite ed hanno bisogno dell'intervento razionale dell'essere umano. Mi riallaccio ancora alle riflessioni di Amartya Sen, che costantemente sottolinea come la democrazia sia fatta per questo: per discutere del mondo che vogliamo, ivi compresi i termini di regolazione dei sistemi della sanità, dell'istruzione, delle tutele contro la disoccupazione. Il vero pregio della democrazia non sono il diritto di voto, né il diritto ad essere eletti per rappresentare idee, persone o lobbies ma la discussione pubblica : il diritto di esprimere opinioni e proposte, di protestare se serve, di far circolare opinioni e informazioni da più fonti.
Le sfide che abbiamo di fronte sono complicate, né le risposte vengono rapidamente, né le differenze e le divisioni possono facilmente dissolversi. Siamo in una grande fase di incertezza: come soggetto di rappresentanza degli interessi dei lavoratori e dei pensionati ci impegniamo a tenere acceso un vigoroso dibattito per trovare insieme agli altri attori della società civile e alle istituzioni politiche risposte adeguate alle angustie contemporanee.

crisi e misure anticrisi, Franca Porto