Primo Maggio e l’incompiuta costituzionale.

Venerdì, 01 maggio 2015

Il lavoro è nella prima riga della Costituzione Italiana, strettamente legato a “Repubblica” e “democrazia”.

La Repubblica ha, fin dalla sua nascita, legiferato in continuazione sul tema del lavoro sia con provvedimenti singoli che con ricorrenti impianti di riforma. L’attenzione sociale e politica sull’evoluzione delle leggi sul lavoro è sempre stata alta e si è espressa in diversi modi: dalle manifestazioni di piazza alla concertazione, con lo scontro ma anche con il dialogo, come deve essere in democrazia. Non sono però mancate le degenerazioni violente e criminali, come ci ricorda quest’anno il 30imo dell’assassinio di Ezio Tarantelli.

Guardando ai contenuti di questo incessante cantiere della costruzione legislativa sul lavoro si nota che un unico aspetto ne è rimasto escluso: quello della partecipazione (o del “coinvolgimento”) dei lavoratori nella gestione dell’azienda o dell’impresa. Eppure la Costituzione vi dedica uno specifico articolo, il 46, nel quale la brevità del testo è inversamente proporzionale alla profondità dei contenuti. “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Un diritto dimenticato, anche perché considerato come deleterio, negativo da una parte della politica e del sindacato. Non così per la Cisl. Costituitasi nel 1950, tre anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, ne riprendeva i concetti dell’art.46 nel suo Statuto (art.2) dove constatando i limiti del sistema economico di allora indicava come necessaria “la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’unità produttiva e la loro immissione nella proprietà dei mezzi di produzione”.

I ripetuti tentativi di andare oltre la segnatura con paletti del cantiere (ultimo quello bi-partisan promosso dal senatore Treu con un disegno di legge del 2013) sono naufragati tra l’indifferenza, l’ostilità o, più banalmente, l’insipienza dei più.

Eppure nelle diverse realtà dei sistemi economici dei paesi industrializzati (e democratici) quelle caratterizzate da un robusto sistema di partecipazione (vedi il Nord Europa) presentano i migliori livelli di benessere dei lavoratori e che di prosperità delle imprese. Senza peraltro aver cancellato la distinzione degli interessi, le libertà sindacali, il ricorso al conflitto.

La crisi ha reso ancora più comprensibile come l’antagonismo tra lavoratori e impresa non sia più in grado di dare risposte soddisfacenti a nessuna delle due parti. Dove questa visione delle relazioni industriali è prevalsa nel comportamento del sindacato o dell’imprenditore abbiamo registrato come conseguenza solo fabbriche chiuse e lavoratori disoccupati. Viceversa molte situazioni di difficoltà sono state superate in positivo con un maggior coinvolgimento, ricambiato, dei lavoratori verso gli obiettivi dell’azienda. E questo nonostante l’assenza di una regolazione propulsiva e in barba a normative limitative. Nulla di strano: è quello che è già successo nella prassi della contrattazione aziendale, soprattutto prima dell’accordo di riforma della contrattazione del 2012.

Quando si vorrà guardare senza infingimenti e pregiudizi all’azione del sindacato (della sua parte maggioritaria) in questi ultimi dieci anni (pre e post crisi) nell’industria si potrà capire quanto sia cresciuta l’erba fuori dal recinto delle vecchie regole e quanto sia opportuno, se non necessario, che si dia compiutezza al disegno costituzionale sul lavoro con una moderna della legge sulla partecipazione.

Per il Veneto, i suoi lavoratori e le sue aziende, che hanno maturato numerose e significative esperienze di compartecipazione responsabile, dove si sono sottoscritti accordi tra le Parti sulla partecipazione (come l’Avviso Comune di Vicenza), sarebbe un ulteriore rilevante strumento per superare la crisi e quindi ridare slancio al suo manifatturiero e alla buona occupazione che può offrire.

La democrazia nel lavoro, per essere completa, deve prevedere anche questa possibilità, libera opzione e non obbligo.

Partecipare è un diritto dei lavoratori. Lo dice la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro.