Grimeca, atto terzo

Martedì, 17 maggio 2011

Se non è ancora ben chiaro il perché la Grimeca sia approdata a Rovigo è invece molto più evidente il perché ci rimarrà. Partiamo dall'inizio, atto primo. Grimeca (acronimo dei tre soci fondatori: Grillini, Menarini e Cane) è azienda che apre i battenti vicino a Bologna, nei primi anni '50, per produrre componenti, come mozzi e freni a tamburo, dei motocicli.
Sarà questo il suo spazio industriale che, sfruttando alluminio e leghe leggere, coltiverà fino ai giorni nostri conseguendo un primato tecnologico dopo l'altro ed acquisendo un mercato dopo l'altro: a fine degli anni '60 è già fornitrice dei produttori giapponesi. L'azienda cresce e si espande. Punta a mettere piedi in Veneto e, allo scopo, viene costituita la società "Bassano" un nome che la vorrebbe predestinata all'omonima cittadina ai piedi del Monte Grappa.
Questo secondo atto si apre però con un mistero non ancora chiarito: la (Grimeca) Bassano si piazza (nel 1971) a pochi chilometri da Rovigo, nel comune di Ceregnano (dove fu recuperato, galleggiante sulle acque del Po, il crocefisso del cosiddetto "Cristo alluvionato"). Vengono aperti i primi due capannoni che diventeranno 18 unità integrate (dalle fonderie all'assemblaggio) nel 2000.
Il primo anno del nuovo millennio è il migliore per l'azienda che ha consolidato la sua posizione di leader mondiale ed ha come clienti tutti i maggiori produttori di motocicli: da Piaggio alla Yamaha. Ci lavorano più di 1.700 lavoratori e viene chiamata "la Fiat del Polesine" . Poi il crollo "improvviso e rapido- racconta Mario Brunazzo della Fim locale- nel 2000 l'azienda aveva assunto 250 lavoratori con contratto a tempo indeterminato, nel 2001 siamo già in Cig: era arrivata la crisi per sovra produzione e, in più, Piaggio aveva cominciato ad optare per le forniture cinesi".
Da allora una progressiva discesa che è cronaca di questi ultimi mesi: crisi finanziaria, concordato preventivo, messa all'asta ed aggiudicazione al nuovo proprietario, la padovana TMB, anch'essa nella produzioni di componenti in alluminio e leghe leggere ma nel settore auto.
E da qui parte il terzo atto, dove sono subito chiari i motivi per cui azienda e produzioni rimangono vive e dove ora sono. Un fatto da non dare per scontato: le grandi banche non hanno creduto alla sua rinascita, rifiutandosi di finanziare due anni fa il piano di rilancio industriale e portandola in asfissia finanziaria. E qui sono emerse le diversità tra l'impostazione della Fim e quella della Fiom sul modo di gestire la crisi aziendale. "Ci siamo battuti per mantenere in attività la produzione e non perdere i clienti anche quando l'azienda non aveva i soldi per pagare gli stipendi dei lavoratori (con il paradosso che erano più sicuri di portare qualcosa a casa a fine mese i cassaintegrati)- ricorda Nicola Panarella, segretario Fim - poi a buste aperte ci siamo rifiutati di sostenere le posizioni rigide ed inconcludenti di chi pretendeva di obbligare la TMB a garantire l'assunzione di tutti, poi abbiamo contrastato l'incomprensibile rifiuto di far sottoscrivere ai lavoratori che passano nella nuova azienda la liberatoria per il pregresso (prevista esplicitamente nelle clausole dell'asta)".
Se Grimeca (ora TMB) c'è e ci sarà ancora lo si deve dunque a due precisi motivi. Il primo è quello che l'azienda vale ancora molto e per il suo acquisto si sono mossi gruppi come la multinazionale indiana Ruja oltre che ad altri imprenditori italiani. Il secondo è che la Fim ha saputo, anche in contrasto duro con Fiom, traghettare produzioni e lavoratori verso la nuova sponda industriale, senza lasciare nessuno da solo.
"La migliore soddisfazione - concludono i due dirigenti Fim- l'abbiamo avuta proprio in questi giorni: moltissimi lavoratori, anche iscritti Fiom, ci ringraziano per come abbiamo operato. Molti ci hanno anche chiesto di farsi la tessera Cisl".

ust Rovigo