Non vogliamo diventare extra comunitari

Giovedì, 22 novembre 2018

La pericolosa contrapposizione che si è creata tra il Governo italiano e l’Unione Europea (la Commissione ma anche tutti gli Stati membri) deve trovare una rapida conclusione.

Si è aperto, volutamente, uno scontro diffuso che esaspera diversità di vedute ed interessi su ogni aspetto delle relazioni comunitarie (sicurezza, infrastrutturazione, regole comunitarie, economia, finanza, ecc.).

Le forze che ora sono governo giustificano questo atteggiamento con la richiesta di un’Unione Europea “diversa” senza però spiegare quale.

Anche la Cisl sostiene da tempo che l’Unione Europea abbia bisogno di una profonda riforma: quella di trasformarsi negli Stati Uniti d’Europa. Così com’è oggi, l’Unione rischia infatti di allontanarsi dall’idea per cui è nata: istituzione sovranazionale che garantisce la pace, persegue il bene comune ed accompagna la crescita ed il benessere delle persone e delle famiglie che vivono e lavorano entro i suoi confini.

Rimanendo così com’è, diventa sempre più debole, poco credibile presso l’opinione pubblica e oggetto di strumentali attacchi da parte di tutto l’antieuropeismo interno ed esterno.

Ma la riforma dell’Unione passa da un accordo tra gli Stati membri. E gli accordi di riforma si fanno costruendo alleanze e promuovendo occasioni di confronto.

Anche in materia di politica economica dei singoli Paesi.

Lo scontro aperto dal Governo sul bilancio dello Stato dimostra che questo atteggiamento aggressivo e autosufficiente, anziché creare le condizioni per ottenere dei margini di flessibilità di bilancio (pur necessari per rilanciare la crescita), ha coalizzato gli altri diciotto Stati dell’area Euro (compresi quelli considerati amici), oggi tutti schierati contro ogni spazio di manovra per il nostro Paese, che si trova isolato e indebolito.

Il prezzo di questo isolamento e di questa sfiducia rischia di pagarlo la parte più debole della nostra società: una crisi finanziaria avrà chiaramente ripercussioni sulla sostenibilità del sistema di welfare (sanità, scuola, pensioni), andando a penalizzare proprio chi ha bisogno di protezione sociale.

Inoltre il sistema economico/produttivo non attraverserà indenne la fase di sfiducia dei mercati internazionali che già oggi avvertiamo: rischiamo una riduzione del credito alle imprese con conseguenti ricadute negative sull’occupazione. In questo caso a pagarne il prezzo maggiore saranno le economie locali, come quella del Veneto, che più sono integrate in quella europea.

Se poi la crisi mettesse in discussione la permanenza del nostro paese nell’area Euro (e di conseguenza nell’Unione Europea), lo scenario diventerebbe apocalittico dal punto di vista economico e sociale; altro che Grecia!

Di fronte a questi scenari, riteniamo che vada confermata e ribadita, con le parole e con i fatti, la scelta dell’Italia di essere parte dell’Unione Europea, di esserne tra i fondatori e tra i Paesi leader.

Dal Veneto deve partire un richiamo forte, trasversale, di tutti i soggetti collettivi responsabili, al Presidente del Consiglio Conte, per riprendere le fila di un rapporto costruttivo, serio e affidabile con gli altri Governi europei e con la Commissione Europea.

E serve farlo subito.