Social Card, la carta che parla.

Venerdì, 23 gennaio 2009

Già con la diffusione dei primi, provvisori, dati sulla sua distribuzione, la Social Card ci parla con lo schietto linguaggio dei numeri reali.
Cosa di dice? Due cose, da subito (più avanti ne potremo sentire e capire delle altre).
La prima è che, nell'Italia del Terzo Millennio, dell'Unione Europea a 27, del G8, rimane un Sud povero, anzi, poverissimo dove centinaia di migliaia di persone, anziani e famiglie numerose, devono vivere con meno di 8 mila euro all'anno. Rappresentano la dimostrazione più viva e drammatica che resta veramente molto da fare per unire il nostro Paese sotto il profilo economico e che quindi vanno ripensate le politiche di sviluppo del Mezzogiorno fin qui messe in opera.
Poi ci dice qualcosa che, qui nel Veneto, fa molto più rumore: la Social Card è avulsa, estranea, alla povertà del nord. Altrimenti non si spiega come mai in tutto il Veneto siano state assegnate meno Carte che in Sardegna o nella sola provincia di Salerno.
Sappiamo che nel Nord, come nelle altre aree sviluppate del paese i poveri sono molti di meno rispetto al Sud, ma non c'è alcuna proporzione riconoscibile nella distribuzione della Carta.
La sua "insensibilità" alla povertà del Nord è determinata dai criteri che sono stati disposti per la lettura della povertà, per filtrare tra le varie condizioni di povertà e quindi per tracciare la linea di demarcazione che separa coloro che ne possono beneficiare dagli esclusi.
A guardia dei confini di accesso alla Carta sono infatti stati posti due divieti, poco appariscenti ma pesantissimi: no al possesso di un garage o di una tettoia, no al possesso di un pezzettino di terra (il "campetto"). Piccole cose che, a spiegarne la grande forza escludente, fino a qualche giorno fa si rischiava l'incredulità.
Eppure sono stati proprio queste "ricchezze" così diffuse tra gli anziani delle regioni del nord, specie delle province che vengono da una economia basata sulla piccola proprietà agricola, e accuratamente registrate dal Catasto (senso civico e rispetto della legalità dei nostri anziani) a togliere il riconoscimento della condizione di povertà a decine di migliaia di anziani che vivono di pensioni minime.
I dati distinti per le diverse province venete confermano questo fatto. Il numero dei beneficiari è ancora più ridotto nelle aree caratterizzate dalla piccolissima proprietà agricola come, ad esempio, la montagna.
A chi si chiede se tutto ciò è il risultato di premeditazione, di incapacità o di errore in buona fede noi ricordiamo che, senza sollevare questioni di principio, pregiudiziali culturali o politiche, come Cisl veneta ne abbiamo non solo anticipato gli effetti perversi, ma anche proposto (in tempo utile) rimedi concreti, presentando alcune precise richieste di modifica dei criteri di misurazione del reddito, che pubblichiamo nel nostro sito cislveneto.it.
Siamo rimasti inascoltati essendo prevalso nel legislatore più il desiderio di comandare che di ascoltare e concertare.
Rimediare si può ancora. Basta prendere in considerazione le nostre proposte e rimettere in pista le risorse stanziate e non consumate. E si deve farlo se davvero si è creduto in questo strumento quale sollievo alla povertà.
Poi, dopo aver rimediato a questa iniquità, da questa vicenda se ne trae come utile insegnamento che anche in materia di povertà bisogna saper leggere e riconoscere le diversità che caratterizzano questo paese, potremmo anche dire che non tutto il mal viene per nuocere e che da questa crisi abbiamo colto un'altra grande occasione di migliorare il modo di fare politiche sociali nel nostro paese.

Franca Porto, Segretaria Generale Usr Cisl Veneto

Venezia- Mestre 21 gennaio 2008

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