LA LUNGA MARCIA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Martedì, 18 settembre 2007

LA LUNGA MARCIA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

L’acceso dibattito sul costo della politica e della pubblica amministrazione che occupa quotidianamente gli strumenti di informazione, merita senz’altro di essere affrontato da più punti d’osservazione, non ultimo quello dello scenario politico e amministrativo che caratterizza il nostro sistema.

Partendo dall’assunto che il settore pubblico per gran parte si occupa dell’erogazione di funzioni sociali ma è anche deputato a garantire i servizi alle imprese garantendo imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa, come sindacato siamo convinti che abbia un ruolo importante per contribuire al miglioramento della competitività del Paese.

E’ con questa convinzione che la CISL insieme a tutto il sindacato confederale, ha inteso sottoscrivere il Memorandum per il lavoro pubblico, consapevoli della necessità di innovare la pubblica amministrazione attraverso l’individuazione di strumenti e strategie finalizzate a migliorare il sistema, a tutto vantaggio delle imprese e della qualità dei servizi per i cittadini in generale.

La profonda diversità che caratterizza le tipologie di servizio offerte dai vari settori della pubblica amministrazione (amministrativi, sanitari, sportelli imprese ect.), meriterebbe specifici approfondimenti, possiamo però individuare alcuni elementi di criticità trasversali, legati alla efficienza ed efficacia dei modelli organizzativi, spesso determinati dalla complessità delle relazioni tra i differenti livelli istituzionali.

Anche dopo la riforma del titolo V della Costituzione restano importanti nodi da sciogliere in merito ai livelli di responsabilità tra Comuni, Province, Regioni e Stato, che diventano elementi di grande complessità operativa, sia rispetto alla sovrapposizione di percorsi burocratici, che sulle competenze attribuite, le quali non sempre consentono piena autonomia gestionale/organizzativa e quindi celerità ed economicità nell’erogazione delle prestazioni.

Un esempio delle contraddizioni della politica è rappresentato dal blocco assunzioni generalizzato ormai da dieci anni, che non solo (oggi) contrasta con l’autonomia conferita a Comuni e Regioni dalle riforme, impedisce di fatto di agire con responsabilità economico gestionale, ma soprattutto non consente di ridurre/riconvertire gli organici laddove vi siano reali eccedenze o di assumere nei casi di carenze di specifiche professionalità, come di nuove professionalità necessarie per intervenire in processi di innovazione organizzativa.

Dentro il sistema, caratterizzato da un’elevata frammentazione dei livelli decisionali innanzitutto politici, riscontriamo una moltiplicazione anche delle norme, ormai inflazionate nel nostro paese, prodotte con il costante tentativo di modificare il sistema, e che l’esperienza di questi anni ha dimostrato in grado di produrre spesso rallentamenti o addirittura blocchi alla funzionalità dei vari servizi della pubblica amministrazione, rallentamenti e disagi che alimentano il dibattito sul rapporto costo/beneficio del servizio.

Parliamo quindi di frammentazione delle stesse istituzioni, dal livello comunale (con una forte presenza di micro enti nel territorio) al livello ministeriale, ma anche del lecito tentativo dei livelli più vicini ai cittadini e alle imprese di conquistare benefici per migliorare i propri servizi, che spesso a causa dell’iter burocratico (ma più spesso delle tensioni politiche) vedono trascorrere anni, anche intere legislature, prima di poter osservare un risultato apprezzabile.

Un sistema complesso dunque dove la produttività non può essere misurata in termini di produzione di ricchezza come avviene nel settore privato, ma che necessita di disporre di obiettivi chiari, risorse e strumenti operativi, spesso inesistenti o fatiscenti, per poter misurare i risultati prodotti in termini di qualità delle prestazioni.

Non va inoltre sottovalutato il danno prodotto dalle cartolarizzazioni, con la svendita di immobili in cui gli enti pubblici continuano a pagare l’affitto, le privatizzazioni che non hanno prodotto maggiore competitività e benefici per i cittadini ma più spesso un aumento dei costi dei servizi e diminuzione della qualità, le esternalizzazioni che hanno determinato la moltiplicazione dei costi, la frammentazione dei servizi e lo scollamento dal diretto controllo pubblico, oltre a creare forme di precariato e un basso livello di fidelizzazione degli operatori.

Spesso verifichiamo che la pubblica amministrazione, “serve” la politica anziché essere al servizio dei cittadini e delle imprese, una politica che usa le norme, gli strumenti e le risorse, i managers, incapaci di esercitare la loro autonomia e responsabilità, per guadagnare il consenso da parte di specifici settori o lobbies a discapito dell’interesse generale.

Al fine di mantenere il consenso politico riscontriamo la non applicazione di norme (ad esempio in ambito ispettivo) attraverso la creazione di impedimenti burocratici, di tagli sulle risorse ect., o vediamo disservizi creati ad arte per indurre alla privatizzazione di intere strutture a favore di specifiche lobbies.

Proprio contro questa tendenza, già dall’inizio degli anni ’90, con le prime riforme della pubblica amministrazione, abbiamo visto l’avvio di importanti cambiamenti, alcuni dei quali non pienamente realizzati, che hanno messo al centro un principio fondamentale, la separazione tra il potere politico e gestionale nella pubblica amministrazione, ma a riprova di quanto sia difficile uscire da questa spirale, vediamo ancora interventi legislativi mirati a riconfermare lo spoil system per la dirigenza.

La stessa privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico attuata in quel periodo aveva (ed ha) in se grandi potenzialità rispetto alla funzione di regolazione anche in ambito organizzativo dei servizi pubblici, ma si è scontrata, in parte con le normali resistenze che si creano in tutti i sistemi di fronte al cambiamento, più spesso è stata frenata da livelli politici e talvolta dirigenziali che non sempre hanno saputo (o voluto) cogliere questa opportunità per realizzare concretamente un percorso innovativo nella pubblica amministrazione.

Di servizi che funzionano va però detto ce ne sono moltissimi nel sistema, grazie a dirigenti capaci e intraprendenti che hanno saputo gestire al meglio, a volte con coraggio e sana autonomia, le scarse risorse messe loro a disposizione, valorizzando le professionalità presenti nei servizi, a volte sostenuti da politici lungimiranti o comunque in grado di lasciare che il “gestore” sia il dirigente competente in materia.

L’assunto quindi, che il lavoro pubblico in se sia sinonimo di inefficienza, vuol dire solo creare la strada a varie forme di privatizzazione di servizi fondamentali per i cittadini, impedire che emergano le potenzialità delle risorse che vi lavorano, decidere a priori di non investire sul servizio pubblico.

Ne emerge un quadro piuttosto svilente di un sistema complessivamente ritenuto “avanzato” in termini di welfare rispetto ad altri paesi, dove le scarse risorse da destinare ai servizi e l’elevato livello di tassazione fanno percepire a cittadini e imprese il sistema come troppo oneroso, o peggio ancora di pagare troppo rispetto al servizio ricevuto.

Da qui alla demagogica campagna contro la pubblica amministrazione il passo è stato breve, su di essa viene scaricata la responsabilità di essere un freno per il rilancio del paese, comoda e superficiale soluzione di fronte al grande e faticoso lavoro che invece merita di essere messo in campo da subito per trasformarla in un vero strumento di innovazione e sostegno per le imprese e i cittadini.

In questo percorso di rilancio che noi auspichiamo sia avviato quanto prima, sarebbe interessante verificare se non serva una maggiore responsabilità congiunta pubblica/privata nelle scelte che vengono chieste alla politica, per evitare di cadere ancora una volta nella tentazione di credere che siano sempre “gli altri” a dover individuare le soluzioni ai problemi, e soprattutto a farsene carico.

Per noi agire in questo senso significa disporre di una potente leva per lo sviluppo di qualità.

Pubblico Impiego