La sicurezza è di tutti, di Franca Porto

Lunedì, 06 aprile 2009

Discutere di sicurezza come seconda faccia della medaglia immigrazione è cosa ambigua. Qualcuno potrebbe capire che l'immigrazione sia la causa principale del problema mentre sappiamo non è così.
Altri potrebbero, invece, sostenere l'esatto contrario, come se i cittadini stranieri che vengono nel nostro Paese fossero tutti, a differenza degli italiani, brava gente; anche questo non corrisponde al vero.

Su questi temi sta prevalendo, più che la consapevolezza della necessità di capirli e di governarli nell'interesse di tutto, l'opportunità dello scontro ideologico, facile da alimentare perché i pregiudizi, le contrapposizioni e il semplicismo costituiscono una facile scorciatoia per il pensiero comune. Il tornaconto per chi sostiene questo conflitto è puramente elettorale.

Vivere sicuri è sicuramente aspirazione di tutti.
Appunto, di tutti. E in questa totalità ci sta sia la grandissima parte degli italiani come la grandissima parte dei cittadini stranieri che sono immigrati nel nostro Paese per guadagnarsi da vivere o per "vivere" tout court.
La sicurezza per un immigrato è uguale in tutto mondo: non essere vittima di azioni criminali, indipendentemente dal fatto che a perpetrarle sia un suo concittadino, un italiano o un altro straniero; non essere maltrattato perché parla una lingua diversa; essere curato indipendentemente dal possesso di un documento, poter lavorare e aiutare la propria famiglia.

Per il sindacato questa visione della sicurezza per tutti non è il risultato di una cultura buonista o fuori della realtà. Al contrario è la constatazione, la presa d'atto, del reale quotidiano.
Nel lavoro di tutti i giorni, nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, le ansie e le preoccupazioni come le soddisfazioni e i meriti, uniscono i lavoratori e fanno sparire passaporti e permessi, così come accade nelle scuole, tra i bambini delle scuole d'infanzia come tra i ragazzi delle università; ed è così pure nelle famiglie tra l'anziano assistito e la badante, magari irregolare.

L'integrazione, in Italia come in Veneto, cammina grazie al lavoro, alla istruzione, alla vita vissuti in comune più che per le politiche previste e realizzate dalle compagini governative. Anzi, in alcuni casi, l'integrazione procede a dispetto di leggi e provvedimenti, che sembrano più finalizzati a complicare il normale con- vivere di tutti i giorni.

Tutto questo, però, oltre a farci perdere tempo ed opportunità, regge fino ad un certo punto. Se la politica e l'arte del governo prendono di mira esplicitamente la "naturale" tendenza alla coesione sociale e alla coesistenza tra diversi che fa parte della nostra cultura, se le leggi vengono costruite per separare e contrapporre, allora i rischi di regresso e di scontro sociale diventano reali.
E la sicurezza sarà sempre di più un privilegio per un sempre più piccolo numero di persone. In questa ristretta cerchia, noi, lavoratori e cittadini comuni non ci saremo.

Franca Porto

Venezia- Mestre 6 aprile 2009

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