Il terremoto che ci manca

Martedì, 14 aprile 2009

Sopra un territorio soggetto a continui movimenti sismici che generano a ripetizione terremoti, vivono milioni di persone che hanno saputo produrre, nel corso dei secoli, il 50% del patrimonio culturale del mondo, tra cui piccole e grandi città, monumenti, architetture e paesaggi irripetibili.

E' questa l'Italia, paese che ha accumulato nella sua storia una grande esperienza e tradizione nell'arte del costruire, una perizia riconosciuta e richiesta in tutto il mondo e che da reddito e lavoro, ancora oggi, a oltre un milione e mezzo di persone, dagli operai edili (un mondo sempre più multietnico) alla ipertrofica comunità dei professionisti del settore: architetti, geometri ed ingegneri, ecc.

Ed è l'edilizia da sempre il termometro della nostra economia, il settore in cui le famiglie investono la gran parte dei risparmi (per una casa in proprietà) e in cui altri mettono a profitto capitali illeciti frutto di evasione fiscale o peggio. Un terzo della amministrazione pubblica vive sull'attività del costruire (enti, uffici, servizi tecnici, urbanistici, ambientali vari, più commissioni e commissari, assessorati, ecc.).

Eppure il terremoto dell'Abruzzo ci conferma che tutto questo insieme di intelligenze e di poteri non hanno ancora saputo, o potuto, conciliare ciò che costruiamo, case, strade, palazzi, con la terra sulla quale edifichiamo. Cosa possibilissima, visto che è pratica comune in altri Paesi del mondo che hanno lo stesso problema; l'edilizia antisismica è scienza vecchia e consolidata, con risultati verificati e ben conosciuta anche in Italia.

Il terremoto che ha colpito l'Abruzzo provocando quasi 300 morti e la scomparsa di interi quartieri e piccoli centri abitati ci ha, tragicamente, confermato che la scienza e la coscienza degli uomini non ha dato rimedio ai non rimediabili sconquassi che i geologi, forse l'unica categoria professionale che conta poco o niente sulle pratiche del nostro Paese, ci rappresentano con dovizia di dati per ogni centimetro quadrato di suolo nazionale.

La mattina del 6 aprile, quando i giornali radio ci davano le prime notizie del dramma quelli di noi che conoscono un po' L'Aquila hanno immaginato il disastro pensando agli effetti del terremoto negli edifici antichi che compongono la città storica. I giorni successivi ci hanno portato le immagini dei moderni palazzi crollati come castelli di sabbia. Il loro emblema è la Prefettura di cui sono rimaste in piedi le colonne che reggono la scritta "Palazzo di Governo".

Non mancano i terremoti in Italia e non mancheranno mai. Ne abbiamo avuti 46 negli ultimi cento anni, la metà ha provocato danni alle cose e in 17 eventi sono morte 166.350 persone.

La responsabilità è di tutti ha detto il Presidente della Repubblica: concordiamo e condividiamo. L'unico terremoto che ci manca è quello che dovrebbe colpire le coscienze individuali delle persone e quella collettiva del Paese

Un terremoto che faccia macerie di quella intricata architettura di interessi, spesso illegali, di individui e di gruppi, che hanno sepolto, sotto la logica del fare soldi, quel senso di responsabilità immediata e futura, di interesse collettivo e quell'arte quella scienza del costruire che dovrebbero essere poste davanti a tutto al solo pensiero che nell'edificio che si edifica, sia esso una casa, una scuola o ufficio, andranno a viverci o a lavorare altre persone, altri uomini.

Oggi, dopo i morti dell'Abruzzo, nel Piano Casa si parla di priorità alle norme antisismiche, viste come un intrigo, una rigidità da superare fino al giorno prima. Noi ci rimettiamo a quanto sostenuto e richiesta da sempre dal nostro sindacato dei lavoratori delle costruzioni, uno dei più grandi d'Europa: non serve costruire per costruire, è necessario invece costruire bene, con la qualità, cose utili.

Franca Porto

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