Tema: come ricostruire centomila posti di lavoro

Sabato, 02 marzo 2013

In Veneto la crisi è vicina a rubarsi centomila posti (contratti) di lavoro.

Anche se non corrispondono ad altrettanti lavoratori è certamente vero che questi posti mancano a chi ha perso il proprio senza trovarne un altro, ed è disoccupato, come a chi cerca per la prima volta un lavoro e, non trovandolo, rimane inoccupato.

Questo è il conto (che continua a crescere) che la crisi sta facendo pagare al lavoro dipendente.

Ma non si è fermata qui: ha aggredito il lavoro autonomo e le piccole imprese famigliari, determinando anche in questo ambito una riduzione degli occupati.

Nonostante ciò, facendo le dovute proporzioni, il Veneto non è certamente la Grecia e neppure la Sardegna (o un’altra area del nostro Mezzogiorno).

Sono numeri però che pesano. Non solo in termini statistici: dietro alle cifre ci sono decine di migliaia di persone e di famiglie che non rimediano più il reddito necessario per vivere dignitosamente e spesso hanno l’obbligo quotidiano della rinuncia.

A rendere le condizioni di queste persone ancora più difficili, ci sta il progressivo blocco del mercato del lavoro (le nuove assunzioni si sono ridotte del 50%) che rende sempre più difficile per chi esce dal cerchio degli occupati rientrarvi. Chi è fuori resta sempre più fuori e il non lavoro diventa sempre di più condizione cronica, con tutto quello che questo determina: progressivo impoverimento, consumo degli eventuali risparmi, difficoltà psicologiche ed umane.

Chi ha responsabilità sociali, economiche e politiche, non può non guardare in faccia questa realtà e porsi l’imperativo di cosa fare per affrontarla.

Noi sappiamo che i centomila posti di lavoro dipendente che la crisi si sta mangiando in Veneto, volendo qui considerare solo questa parte del problema occupazione, non si creano con qualche formuletta semplice-semplice, tipo “zero tasse per i nuovi assunti”. Non si spiega altrimenti il fatto che sono in caduta libera le assunzioni degli apprendisti (forza lavoro giovane con paga ridotta e zero contributi previdenziali a carico delle aziende). Non portano a niente neppure i vari “Piano del lavoro” con tutti i numeretti in linea.

Piuttosto riteniamo che si debba operare, contemporaneamente, su due fronti: tamponare e ricostruire. Così come si fa con il terremoto.

Tamponare. Per ridurre al minimo le ulteriore perdite di occupazione, quindi ammortizzatori sociali (dove si è fatto molto) e ripartizione su più teste del lavoro esistente (dove si è fatto troppo poco). Per sostenere i costi del tamponamento oltre alle risorse dell’Unione Europea e nazionali vanno messe in pista anche quelle solidaristiche finanziate da imprese e lavoratori occupati. Il Veneto, patria della bilateralità e della contrattazione territoriale, può dare subito l’esempio.

Ricostruire significa far ripartire la crescita. Per non scivolare verso il declino definitivo. E’ un impegno cento volte più complesso e difficile. Da una parte bisogna spingere sulla competitività delle aziende (per restare nei mercati) e del sistema (per attrarre nuovi investimenti). Molto si può fare utilizzando responsabilmente le prerogative locali sia pubbliche (messa in efficienza dei servizi collettivi, semplificazione amministrativa, uso corretto e completo delle risorse comunitarie) che private (relazioni industriali, welfare integrativo). Molto di più gravoso e rilevante è il compito del governo e del Parlamento. E’ una sfida che va affrontata contemporaneamente a quella della “pulitura” della politica. Ci attendiamo molto da tutti i parlamentari eletti in Veneto: il tema, anche per loro, è: come ricostruire centomila posti di lavoro?