Sanità Veneta: esame di maturità e abito nuovo

Venerdì, 26 novembre 2010

La, indifferibile, riorganizzazione del sistema socio-sanitario regionale è la principale prova d'esame che la politica veneta deve affrontare per dimostrare autorevolezza, capacità di governo, visione del futuro.
Il sistema è infatti già federale in molti dei suoi principali aspetti: nel modello organizzativo (quello veneto è poi molto caratterizzato), nei poteri di governo, nella gestione delle risorse anche se sono, soprattutto ( ma non tutte!) devoluzioni finanziarie dello Stato centrale.
Il patrimonio che la Regione deve salvaguardare, rinnovare e organizzare in meglio, è enorme ed è in grandissima parte di titolarità pubblica: personale, strutture, attrezzature, servizi. La qualità dei servizi disponibili è alta, spesso all'avanguardia, sotto tutti i profili. Possiamo dire che quello veneto è un buon sistema sanitario (anche se non è esente da criticità e da qualche ombra): un abito vecchio, ma di buona stoffa, si sarebbe detto un tempo.
Per la Cisl tutto ciò è di primaria attenzione, e non solo perché vi trovano occupazione (e già basterebbe) quasi 60 mila lavoratori diretti, senza contare gli addetti degli appalti, delle convenzioni e dell'indotto; a questi si aggiungono migliaia di altre persone, impegnate anche a titolo di puro volontariato, che operano nel cerchio della sussidiarietà.
Il sistema socio sanitario è dunque un pezzo rilevante della società veneta, ne rappresenta valori (professionali, etici, scientifici, culturali) e ne stimola i comportamenti individuali e collettivi. Gli interessi che noi rappresentiamo, così come i valori che sosteniamo, attraversano e partecipano a questo sistema.
La sua riforma è, in sintesi, questione politica, con la P maiscuola.
Tanto più se questa riforma deve realizzarsi coniugando elementi rigidi o scarsamente elastici (in primis le risorse finanziarie disponibili) con altri fortemente mobili (la rapida evoluzione dei bisogni in conseguenza delle dinamiche demografiche). Ma anche combinando virtuosamente fattori innovativi (come la previdenza sanitaria integrativa) con la salvaguardia del servizio come bene collettivo ed, infine, intrecciando la centralità del pubblico con l'insostituibile sussidiarietà del Terzo Settore come dei privati.
Si tratta di elementi e fattori che guardati con le lenti dell'ideologia, dell'approssimazione o della polemica possono sembrare in contrasto, alternativi l'uno all'altro. Ma così non è.
La sfida sulla nuova equazione risorse disponibili/servizi disposti passa ad esempio per una intelligente ed efficace riduzione degli sprechi e con il miglioramento dell'efficienza del sistema.
La previdenza sanitaria integrativa è una dimensione che si aggiunge e completa quella pubblica, obbligatoria e universale. La contrattazione aziendale e territoriale può renderla accessibile a un gran numero di persone e famiglie, come sta avvenendo, anche se troppo lentamente, con la previdenza complementare.
Infine la sussidiarietà, già ampiamente presente nel sistema e, in alcuni casi, sua parte insostituibile, va coltivata non nella pura logica del contenimento dei costi ma in quella, programmata, partecipata e trasparente, del miglioramento del servizio, della sua capillarità, della sua flessibilità. Un sistema socio-sanitario costruito su una solida e qualificata sussidiarietà è un punto di riferimento positivo per tutta la società.
Come è nelle sue abitudini la Cisl del Veneto, anche grazie alla sua Federazione dei lavoratori pubblici e a quella dei pensionati, è pronta a compartecipare responsabilmente a questo esame, senza reticenze, con la dovuta determinazione e con piena apertura al ragionamento. Con quello che si dice "giusto atteggiamento".
Perché, per fare una vera riforma serve, per prima cosa, un abito mentale adeguato e per rinnovare l'abito consunto del nostro sistema socio sanitario serve innanzitutto un abito mentale nuovo.

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