Sanità veneta: quel secondo tempo che non arriva mai

Lunedì, 10 gennaio 2011

Qualche settimana fa siamo stati chiamati dalla Regione per la presentazione del Piano Sanitario per il Veneto. I funzionari della Regione ci hanno fornito ed illustrato una marea di dati e di informazioni che ci hanno fatto capire come il sistema sanitario pubblico veneto sia monitorato in ogni suo aspetto, istante e funzione, tanto quanto, e forse più, di un astronauta nello spazio. Questa conoscenza minuziosa è preziosa: se tutto si sa, meglio si può intervenire. Così abbiamo ben sperato per la parte più attesa, il secondo tempo del Piano: quello delle proposte, del che fare. Ma non ne abbiamo visto nemmeno l'ombra.
Strana malata la Sanità veneta: un sacco di analisi, sempre più medici al suo capezzale, proclami per salvarla, ma chi deve non presenta la cura e tantomeno la mette in pratica. Non è una novità, visto che l'ultimo Piano, peraltro mai messo in pratica, per la sanità veneta risale alla Giunta Pupillo (1993). E' lecito quindi chiedersi il perché di questa oramai storica omissione.
Non certo perché non ci sia bisogno di intervenire. Tutti i sintomi, a partire da quelli dei conti, dicono che così come è oggi congegnata la Sanità veneta non è in grado di mantenere i livelli di qualità che ha raggiunto, anzi già si parla di declino.
Non certo perché mancano le condizioni istituzionali e sociali per presentare un piano di riorganizzazione: c'è una maggioranza di governo regionale ampia e che ha ricevuto un recente e vasto consenso elettorale; c'è pure una rappresentanza degli interessi sociali responsabile.
Addirittura gli industriali del Veneto si sono detti anche disponibili a investire nel sistema. Un fatto positivo se interviene in un sistema che è saldamente in mano pubblica, sviluppandosi come corollario e con un coinvolgimento nella massima trasparenza. Condizioni rese possibili dalla presenza di un progetto sulla sanità veneta forte e condiviso.
Dunque il problema sta in quel coacervo di interessi particolari che da quasi venti anni blocca ogni serio cambiamento del sistema. Riusciranno questi interessi a bloccare ancora una volta questa riforma? Se così fosse dovremmo prendere atto che il federalismo, cioè l'autonoma e libera capacità di governo in Veneto, è più un'aspirazione che un fatto.
Per questo noi continuiamo a chiedere con insistenza un piano di riorganizzazione della sanità veneta. Un piano che si fondi su alcuni elementi inamovibili.
Il primo è quello che le risorse pubbliche per far funzionare il sistema devono sufficienti e stabilizzate (quindi ripristino dell'addizionale aggiuntiva sui redditi medio-alti); poi la lotta agli sprechi a cominciare da quelli di una rete ospedaliera eccessivamente frammentata; infine la valorizzazione della sussidiarietà declinata nelle sue diverse facce: quella dei fondi sanitari integrativi (e qui Regione ed imprenditori potrebbero metterci del proprio in sintonia con le rappresentanze del lavoro), quella dell'affidamento di servizi alla cooperazione sociale (rispettando realmente gli impegni assunti dalla Regione con la legge 23/2006) e di un maggior coinvolgimento del volontariato. Infine quella della partecipazione dei privati.
Pretendiamo il secondo tempo e non accettiamo che arrivi fuori tempo massimo.

sanità, Franca Porto