Nuovo Statuto Veneto: l’Italia s’è persa ?

Venerdì, 04 novembre 2011

La nostra Regione, la terza d’Italia per Pil e numero di Comuni, quinta per popolazione, ha finalmente il suo Statuto.
Tra tutte quelle a statuto ordinario ci è arrivata per ultima, e con molto ritardo. La Lombardia, il Piemonte, l’Emilia- Romagna, tanto per citarne alcune di vicine, avevano occupato già da tempo questo spazio di autonomia politica,  aperto dalla riforma dell’art.123 della Costituzione Italiana per cui “Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento”.
La Cisl veneta ha seguito con attenzione le vicende del nuovo statuto, comprese quelle dell’ultima legislatura che ha traguardato l’obiettivo. Abbiamo sostenuto che le nuove regole, improntate sul federalismo, dovevano rappresentare le coniugazioni al futuro di solidarietà, sussidiarietà e responsabilità; che lo Statuto doveva essere “abito che il Veneto deve indossare per affrontare positivamente il suo futuro di grande regione dell’Europa, e non solo quella dell’attuale Unione” e che ci andava bene il motto “prima i veneti” se l’uso del plurale “i veneti” era il riconoscimento di una pluralità sociale e storica di chi ha abitato, abita e abiterà la nostra regione, facendola vivere e crescere.
Abbiamo infine anche sottolineato come fosse necessario che si partisse dal presupposto che uno statuto è atto costituzionale, in grado cioè di accomunare nel tempo, e non invece la mera espressione di una visione parziale e transitoria del governare.
Cosa c’è di tutto questo nel testo approvato dal Consiglio Regionale lo scorso 18 ottobre? Lo vedremo presto. In primo luogo nel nuovo Regolamento: se avrà risposte concrete alle esigenze di ridurre i costi della politica come a quelle di garantire una gestione efficiente al governo della Regione.
Poi nella legislazione sociale, quella rivolta alle persone del Veneto, se sarà un ulteriore presidio di inclusione, eguaglianza e cittadinanza o il contrario.
Lo vedremo infine se i costituenti, Giunta e Consiglio, sapranno dare proseguo alle aspirazioni federaliste chiedendo quella ulteriore autonomia che la Costituzione assegna (Titolo V, art. 117) alle Regioni in materie strategiche, dal lavoro alla ricerca.
Nel frattempo ai consiglieri chiediamo di rimediare, nella seconda e definitiva lettura ed approvazione del testo, ad una omissione. Nelle 1.337 parole che compongono il testo dello Statuto manca una parola: Italia.
Che non c’è nemmeno nel richiamo alla Costituzione che è solo “della Repubblica” omettendo “Italiana”. Probabilmente è stata una svista e quindi non ci sarà alcun problema a riportare il tricolore nel testo.
E poi: cosa si potrebbe dire di questa assenza nel nostro Statuto, partorito nell’anno del 150° dell’Unità d’Italia, nello stesso giorno in cui ricorre la nascita di un grande veneto, Ippolito Nievo “nacqui veneziano e, morrò, per la grazia di Dio Italiano” e nel quale è scomparso un altro grande nostro concittadino, Andrea Zanzotto della cui passione civile per l’Italia, oggi 4 Novembre, ricordiamo i versi di “Rivolgersi degli Ossari”?
Siamo arrivati per ultimi, e con grande fatica, a darci regole e principi di governo.
Non restiamo gli unici ad omettere il fatto che siamo Italiani.