Primavera araba ed inverno italiano

Lunedì, 28 febbraio 2011

Per noi, come anche per tutti gli occidentali, è difficile immedesimarsi in un cittadino egiziano, tunisino o di un altro paese del Magreb (in arabo "Occidente") per capire le ragioni che lo hanno portato ad una ribellione tanto convinta quanto inaspettata.
Credo che la difficoltà non stia tanto nella diversità di abitudini, costumi o di credo religioso. Ciò che rende difficile immedesimarsi in queste persone è che esse sono in grandissima parte anagraficamente giovani, giovani che vivono tra i giovani.
I nipotini di Mubarak, quelli veri, sono la grande maggioranza degli 80 milioni di egiziani.
Giovane sul serio è anche più della metà dei tunisini, degli algerini e via di seguito.
E non si comprano milioni di giovani, ragazze comprese.
Neppure si possono mantenere con i risparmi delle fatiche dei genitori.
Sulla costa meridionale del Mediterraneo vivono 100 milioni di persone che non arrivano ai 30 anni di età e che non hanno nulla di accumulato su cui appoggiarsi: la casa del padre, la pensione del nonno, i risparmi della famiglia (a volte c'è solo un pezzo di terra da vendere per pagarsi la traversata).
Che non hanno nemmeno molto nel loro presente: un lavoro, una vita libera, ma che soprattutto non hanno un reale orizzonte di speranze. Davanti e sopra di loro hanno (avevano, speriamo), vecchi despoti e autocrazie familistiche a capo di regimi polizieschi e corrotti. Qualcosa di simile ai passati regimi del socialismo reale d'oltrecortina.
Questi giovani non vivono però nell'isolamento del deserto: conoscono il mondo (o almeno, ne conoscono una parte). Internet, PC, cellulari, l'esperienza dei loro connazionali in Europa o negli USA (solo in Italia i sei paesi affacciati sul Mediterraneo hanno oltre 600 mila emigrati), Al Jazeera e le altre Tv hanno portato conoscenza, informazioni, notizie e quindi nuova coscienza, collettività, libertà di comunicazione tra le persone.
C'è una vignetta di un umorista egiziano (la satira! Anche lì!) che mi ha colpito. Rappresenta un giovane che lascia cadere dalla mano destra una bomba ed scimitarra che porta la scritta "il terrorismo porta il cambiamento" ed impugna invece sull'altra un cartello con i loghi di Facebook, Twitter, You Tube con la scritta "la protesta pacifica crea cambiamento".
Questa è la primavera araba.
Di converso l'inverno italiano sembra non finire mai. Mentre ci si scandalizza dell'Europa che non accetta di prendersi eventuali profughi i nostri amministratori litigano rimpallandosi l'uno con l'altro il dovere dell'ospitalità, siamo in piena emergenza per cinquemila tunisini arrivati a Lampedusa e si aggiusta la linea nei confronti di Gheddaffi giorno per giorno. Ma il freddo riguarda soprattutto i giovani italiani che si insiste a mantenere separati nei diritti dai loro coetanei se nati da genitori stranieri, cosi da avere due minoranze demografiche accomunate dalla mancanza di prospettive.
Chissà se l'aria della primavera araba, nei suoi aspetti migliori e lontana da ogni tentazione fondamentalista, non arrivi anche a risvegliare la voglia del cambiamento anche qui da noi, magari proprio a cominciare dai giovani.

internazionale, Franca Porto