Per il lavoro, anche dei giovani, serve la crescita

Mercoledì, 03 luglio 2013

Come ogni emergenza (oramai lo sono quasi tutte le questioni che l’Italia ed il Veneto devono affrontare) anche quella della occupazione dei giovani sta scivolando negli sterili quartieri della polemica politica. Indubbiamente il governo Letta ha ottenuto nei giorni scorsi risultati ragguardevoli in sede comunitaria ponendo il tema al centro dell’attenzione dei 27 Paesi e ottenendo una somma importante da spendere in Italia, aggiuntiva a quella già prevista nel provvedimento per il lavoro del 26 giugno.
Sembra però (il punto interrogativo è obbligatorio vista la carenza di informazioni) che tali risorse non siano disponibili in tutto il Paese ma che la nostra regione (assieme al Trentino-Alto Adige) ne sarà esclusa visto che la statistica ci assegna, per qualche decimale, un tasso di disoccupazione giovanile sotto al minimo previsto per accedere ai fondi (25% di disoccupati tra i giovani fino ai 25 anni). Naturalmente, se così fosse, non potremmo che contestare.
Il punto vero è però un altro e, a nostro avviso, ben più rilevante: gli incentivi, i contributi economici alle aziende, per far crescere l’occupazione, sia pure a favore solo dei giovani, non bastano, non sono risolutivi.
Lo dimostra una recentissima ricerca dell’agenzia Veneto Lavoro che ha esaminato minuziosamente gli effetti di un analogo provvedimento del governo Monti che aveva messo a disposizione, sulla base di quanto previsto dalla legge c.d. “Salva Italia”, oltre 200 milioni di euro per l’assegnazione di generosi contributi a quelle aziende che consolidavano rapporti di lavoro in essere con giovani lavoratori assumendoli con contratti a tempo indeterminato.
In questo modo alle aziende venete sono stati erogati contributi per 3.000 posti di lavoro ma, precisa la misurazione dell’agenzia, in effetti solo 1.000 possono effettivamente considerarsi aggiuntivi. Il passaggio di un giovane da precario a fisso sarebbe così costato alla collettività circa 30 mila euro: non poco.
Creare posti di lavoro con i soli interventi di sostegno economico alle aziende costa dunque parecchio ed i numeri sono comunque limitati, non perché la normativa sia sbagliata o insufficiente, ma perché quando l’economia non tira, non cresce neppure la richiesta di lavoro e conseguentemente l’occupazione, seppur ben incentivata.
Per questi motivi insistiamo nel dire che questo degli interventi a favore dei giovani è solo un primo, positivo, passo in avanti. Il punto cruciale è che serve rilanciare la crescita e dare avvio ad un nuovo sviluppo. Per farlo nessuno, istituzione o parte sociale, europea, nazionale o locale, può permettersi il lusso di limitarsi a guardare (e criticare) ciò che gli altri fanno. Ognuno deve metterci del proprio.
Guardando al Veneto pensiamo ad esempio che non si debba perdere la prossima scadenza (metà settembre) per definire le aree metropolitane da proporre per i finanziamenti UE, a ridisegnare sulla logica dell’efficienza e del risparmio il sistema dei servizi collettivi (es. trasporto locale, Sanità, raccolta dei rifiuti), a prepararsi con progetti rapidamente cantierabili se (come possibile) il patto di stabilità viene derogato per gli interventi sull’assetto idrogeologico, di tutela ambientale e per le infrastrutture. Regione e Comuni devono decidere ed assumersi responsabilità chiare. Anche le Parti Sociali possono fare molto, ad esempio, sviluppando la mutualità bilaterale per sostenere innovazione, servizi per il lavoro, interventi per l’occupazione.
Rimane questo il nostro metro per misurare i fatti distinguendoli dalle parole.