La ragionevole durata

Domenica, 21 febbraio 2010

Quale è la "ragionevole durata" di una crisi economica?
Si potrebbe rispondere che ragionevole è la durata di una crisi che non distrugge la pianta stessa su cui si sviluppa, consumandone la sostanza: l'economia reale, fatta di imprese, imprenditori, di lavoro e di lavoratori. Il resto, finanza, borse, reddito, ecc. è conseguenza.

Se va oltre, se nel suo prolungarsi nel tempo invece distrugge l'impresa ed il lavoro e cancella l'imprenditore ed il lavoratore (e nelle piccole aziende le due cose sono strettamente correlate) la crisi diventa irragionevole, i suoi effetti non sono razionalmente accettabili. La crisi economica, nella sua irrazionalità, può trasformarsi in crisi sociale, smantellando la coesione nelle comunità locali e non.

Per questo i governi di molti Paesi hanno steso reti di protezione, tutela e sostegno per le imprese e per i lavoratori. Hanno portato ossigeno a chi è andato a finire sott'acqua per evitarne il soffocamento: la chiusura dell'azienda senza produzione, la disoccupazione per il lavoratore senza lavoro. Tali reti funzionano tanto più sono commisurate alla ampiezza e alla durata della crisi.

E' giusto quindi chiedersi: nel nostro Paese, nella nostra regione, ci siamo attrezzati per mantenere entro i limiti della ragionevolezza questa crisi ?
L'ossigeno messo a disposizione è sufficiente a portare tutti fuori dal, anzi, dai tunnel ?

I fatti hanno messo a tacere i facili (interessati ?) cantori del bel tempo in arrivo e, più realisticamente, le autorità autorevoli ha detto che la crisi è destinata a durare ancora a lungo e, per uscirne, imprese e lavoro dovranno percorrere tunnel di diversa lunghezza. Per il lavoro sarà più lungo del primo ed il suo attraversamento più pericoloso

Concentriamo la nostra attenzione su lavoro e lavoratori. Il governo, nella Finanziaria 2010 ha confermato le risorse per gli ammortizzatori in deroga quali strumento aggiuntivo per affrontare il secondo anno della recessione. In aggiunta a quelli ordinari essi rappresentano una sostanziosa fonte di tutela minima del reddito di lavoro (in Veneto a consuntivo, nel 2009 hanno salvato 35 mila posti di lavoro ed integrato o surrogato salari per 120 milioni di euro). Il mantello di San Martino si è certamente allargato ed ha coperto molti dei tantissimi che prima ne erano esclusi: apprendisti, collaboratori, dipendenti delle piccole aziende, ecc.
Ma questo mantello non è ancora per tutti, non è per sempre e non ha durata eguale nel tempo per tutti.

Il protrarsi nel tempo della crisi può quindi diventare irragionevole per una parte dei lavoratori, portando loro e le loro famiglie oltre quella striscia gialla che separa una vita dignitosa dalla miseria. Non vogliamo farne una questione di quantità anche se i numeri che ci vengono ad esempio dal rapporto sul lavoro in Veneto nel 2009 (presentati puntualmente da Veneto Lavoro) sono tutti a 4 zeri. Il dato più preoccupante è il crollo delle assunzioni rispetto alle cessazioni dove non ci sono segnali ne motivi di un rapido cambio di tendenza: conseguentemente chi perde il lavoro dovrà attendere ancora molto tempo per ritrovare occupazione e, nel frattempo, per molti, i sostegni al reddito, possono cessare.

Il protocollo anticrisi sottoscritto con la Regione dalle Parti Sociali ha individuato nella mobilità in deroga lo strumento aggiuntivo per tutelare il reddito di chi ha perso il lavoro ed è uscito (o non è mai entrato) dal mantello dei normali sussidi per i disoccupati.
La sua prima applicazione (di fatto sperimentale) ne ha rivelato i limiti causati anche da interpretazioni restrittive della deroga. E' necessario quindi superare queste limitazioni e dare rapida applicazione a questo ammortizzatore. Nello stesso tempo vanno pensate e messe in campo anche altri strumenti di sostegno collegati alle politiche attive per il ricollocamento.

E il problema non può essere solo della Regione e dello Stato. Anche i Comuni e le aziende pubbliche devono farsene carico li dove queste persone abitano e vivono e senza mai dimenticare che i lavoratori che hanno perso il lavoro non vanno distinti per passaporto.

Veneto crisi, Franca Porto