Intervista a Giorgio Santini, segretario generale aggiunto Cisl

Martedì, 19 luglio 2011

La manovra finanziaria (entrata oggi in vigore) è stata approvata in tempi record sotto l'egida del Ministro dell'Economia e del Presidente della Repubblica. Il sindacato ha accettato questa rapidità, rinunciando ad intervenire sui contenuti. Quanta fretta c'era di approvare questa manovra?

Era necessaria e urgente nei tempi, perché, come detto nell'esecutivo di pochi giorni fa, l'unica cosa non in discussione era l'obiettivo di raggiungere entro il 2014 l'azzeramento del deficit pubblico. Obiettivo che è un vincolo che il Governo italiano si è preso in sede europea. La drammatizzazione che c'è stata successivamente, è dovuta al fatto che la speculazione soprattutto sui titoli pubblici ha determinato una caduta della Borsa. Ha fatto bene il Presidente della Repubblica a richiamare da Bruxelles il Ministro dell'Economia e a combinare a scatola chiusa la manovra. La Cisl condivide questa metodologia, perché la stabilità dei conti pubblici, della moneta e della finanza è la precondizione per qualsiasi equilibrio sociale e, soprattutto, economico. Ciò significa lavoro e occupazione; quindi non c'erano alternative. Altro aspetto importante riguardante la manovra è che il sindacato, nelle interlocuzioni precedenti alla scelta di ridurre e, poi, azzerare il dibattito, non ha avuto modo di esprimere le sue opinioni: Abbiamo fatto un'audizione la scorsa settimana, in cui abbiamo presentato le nostre osservazioni, le valutazioni positive e i punti critici che, leggendo ora la manovra, rimangono e sono oggi di maggior spessore.

La politica non paga i costi della crisi: un argomento su cui la Cisl si è già espressa molte volte negli ultimi mesi

Il fatto che non ci sia una riforma incisiva né sui costi della politica in senso stretto (ovvero dei parlamentari, dei partiti e del personale politico) né, come sarebbe altrettanto necessario, sui costi delle strutture istituzionali e politiche, ci pone in totale disaccordo sulla manovra. Il fatto che i ticket comincino da oggi (il giorno dopo l'approvazione), mentre le misure sulla politica sono rinviate alla prossima legislatura è da considerarsi uno scandalo sul piano morale. L'abbiamo già detto nell'audizione e lo diciamo ora con più forza: chiediamo che i Presidenti di Camera e Senato, attraverso i regolamenti parlamentari, attuino immediatamente le misure previste. Ad esempio riportare la retribuzione e il trattamento dei deputati alla media europea, ridurre il finanziamento ai partiti alla media europea e togliere di mezzo la vicenda dei vitalizi post-carica: sono tre misure concrete che si possono attuare immediatamente. Credo che la politica, che è scesa molto in basso a livello di considerazione collettiva in Italia, potrebbe, così facendo, rimettersi in condizione di poter dialogare con il Paese.
Poi bisogna anche ridurre i costi delle strutture politico- istituzionali, Ciò significa, in buona sostanza, agire sulla proliferazione istituzionale che c'è stata, coperta dalla Costituzione. A nostro parere le prime tre misure che si possono fare in modo molto rapido sono: accorpare i Comuni; lasciare alle province una funzione di puro coordinamento; aggregare e, poi, liberalizzare tutte le municipalizzate al di sotto di una certa soglia di abitanti (50mila o 100mila), per superare una frammentazione incredibile, che ci porta ad avere oggi, ad esempio, oltre 6.500 società pubbliche che gestiscono l'acqua. Il fatto che la gestisca una multinazionale sola è sicuramente sbagliato, ma lo è anche questa frammentazione.

Nel breve verrà attuata solo una piccola parte della manovra, moltissimo sarà, invece, affidato alla prossima legislatura, compreso il taglio delle detrazioni, definito prima della riforma fiscale. Quanto è pericoloso tutto questo?

In tutta questa vicenda siamo stati l'unica forza che, tengo a sottolineare, è riuscita a trovare delle soluzioni alternative senza battere le strade del corporativismo ed abbiamo ottenuto due risultati parzialmente positivi. Innanzitutto, abbiamo rimesso in gioco la rivalutazione delle pensioni medio-basse riportandola a come era prima, fino a cinque volte il minimo. Il secondo risultato riguarda il blocco contrattuale nel settore pubblico, a cui è stato riservato uno spazio nella legge che permette la contrattazione sulle economie di gestione. Questo potrebbe essere l'elemento di cui necessitano il pubblico impiego e le amministrazioni per recuperare la qualità della spesa, che è il vero problema della manovra.
Per la Cisl e a livello sociale ci sono, però, alcuni aspetti che non ci vanno bene. Aldilà delle vicende specifiche dei ticket della sanità, dell'allungamento dell'età pensionabile e dello spostamento nel tempo della parificazione uomo-donna, rimane un problema serio: il taglio della spesa previsto dalla manovra finanziaria è caricato quasi tutto (oltre 20 miliardi di euro) sulla spesa sociale assistenziale, altri tagli avverranno sugli Enti Locali e sulle Regioni, una quota minore di tagli sarà, invece, effettuata sulle fasce alte di reddito (le pensioni "alte", le macchine di grossa cilindrata, i titoli IRAP per le banche). Noi assumiamo la sfida della riduzione della spesa, però non accettiamo il fatto che venga fatta esclusivamente sulla spesa sociale assistenziale. Questo è la questione che vogliamo porre da qui al 2013. Attraverso i costi della politica e delle strutture istituzionali, i costi legati alla finanza e la capacità di guardare dentro la spesa pubblica dobbiamo saper individuare lo spreco di spesa (nella sanità applicando i costi standard previsti nella manovra). Dobbiamo essere in grado di rovesciare il paradigma secondo cui la spesa assistenziale determina lo squilibrio del bilancio. Dobbiamo farlo anche perché il Governo si è cautelato (sapendo che è molto difficile tagliare questa spesa), reintroducendo una sorta di "clausola di salvaguardia sui meccanismi fiscali", ovvero agendo sulla vasta area delle agevolazioni fiscali, riproponendo la logica dei tagli lineari, che sono tagli percentuali su 480 voci. Tuttavia, gran parte di questi tagli sono frastagliati negli anni e possono essere riviste. Una parte, però, sono "carne viva" per il mondo del lavoro, perché sono le detrazioni fiscali presenti nella busta paga per le spese legate alla produzione del reddito, per i coniugi a carico, per i figli a carico e per le detrazioni sanitarie. Si tratta, dunque, di tutte quelle conquiste che in questi anni siamo riusciti a produrre, in mancanza di una riforma, per attenuare la pressione fiscale sul mondo del lavoro. Su questi 20-25 miliardi si gioca una partita veramente importante, perciò non possiamo accettare che si risolva tagliando i servizi assistenziali essenziali o riducendo le detrazioni fiscali. Agendo sui costi delle istituzioni, sui veri sprechi della spesa pubblica, sulla leva della tassazione delle rendite finanziarie e sul recupero delle tassazioni sui beni, che dopo la caduta dell'ICI sono scesi molto in basso come incidenza e come contributo al prelievo fiscale, potremo risolvere i problemi di compatibilità del bilancio, senza dimenticare, però, la necessità di ridurre la pressione fiscale e fare, quindi, una riforma. I 20 miliardi di euro e tutta la parte di risorse che servono, in prospettiva, per la riforma fiscale vanno, dunque, trovati, agendo con forza sui meccanismi di quella che oggi chiamiamo "cattiva spesa pubblica". Questa è la sfida che dobbiamo lanciare nei prossimi anni, all'insegna di una ripresa del bilancio pubblico e della salvaguardia delle funzioni essenziali dei principali servizi (l'istruzione, la sanità, la previdenza e l'assistenza), che sono, per un sindacato confederale e per una società che vuole vivere in equilibrio, gli elementi fondamentali da preservare. In conclusione, dobbiamo avere la lucidità e la forza di tagliare tutto ciò che è spreco, al fine di salvaguardare tutte quelle funzioni essenziali che ho appena citato.

Ultima questione: mancano gli interventi per lo sviluppo. Sembra che il vero motivo di tanta apprensione per l'Italia non sia il debito pubblico, ma la mancanza di una crescita sufficiente.

Manovre di questa portata hanno pochi margini per le politiche di sviluppo. A nostro avviso, comunque, ci sono tre strade, che riguardano il rilancio dello sviluppo, su cui è opportuno insistere.
La prima consiste nel ridare forza ad un quadro di relazioni sindacali, orientato agli investimenti. In Italia, infatti, gli investimenti sia da parte dei capitali italiani che stranieri, sono in calo; spesso, le multinazionali localizzano da altre parti. Con l'accordo del 28 giugno il Governo dovrebbe continuare ad aiutare i contratti di produttività, per questo riteniamo che sostenere la contrattazione di produttività è una strada che va mantenuta. La seconda strada riguarda il fatto che nel momento stesso in cui stiamo facendo i bilanci di emergenza per recuperare decine di miliardi, abbiamo anche una quantità enorme di risorse immobilizzate sugli investimenti per le infrastrutture (per esempio la questione della centrale di Porto Tolle, le infrastrutture viabilistiche, i fondi per il Mezzogiorno). Bisogna, quindi, rendere utilizzabili (anche con poteri sostituibili da parte di autorità maggiori) le risorse disponibili; infatti se non vengono utilizzate, gran parte di queste vengono perdute, perché i meccanismi europei sono ferrei e i soldi che non si usano, si perdono. La terza ed ultima strada consiste, invece, nell'avere molto più coraggio nel campo delle liberalizzazioni. Crediamo, infatti, che, oltre al sostegno dell'occupazione, una grossa fetta di sviluppo possa venire dalla capacità di liberalizzare il settore delle municipalizzate, quello delle grandi aziende che fanno parte del bilancio pubblico e quello delle professioni, in modo da rimettere in moto quei meccanismi fondati sull'idea, secondo la quale chi investe, si impegna e lavora ha la possibilità di creare qualcosa di nuovo.

A suo parere i Ministeri al Nord potrebbero essere utili?

C'è un problema di razionalizzazione e non di moltiplicazione. Pertanto dovremmo prendere il lato buono del federalismo: il decentramento va fatto semplificando le strutture e affidando compiti a livelli gestibili dai singoli Enti. Se i cinque livelli che ci sono oggi (Stato, Regioni, Province, Comuni, Aree metropolitane) li portassimo a tre e considerassimo lo Stato, le Regioni e i Comuni come area vasta su cui ritagliare le funzioni, ci sarebbero una semplificazione e una razionalizzazione, che darebbero il risultato sui costi e un miglior funzionamento della politica. In conclusione, per rispondere esplicitamente alla domanda, i Ministeri al Nord non hanno fondamento, bisogna, invece, ridurre i Ministri, accorpare molte funzioni e chiarire meglio i compiti. La politica istituzionale può organizzarsi al meglio così e sotto darebbe largo spazio alla capacità della società di rispondere con le proprie forze alle esigenze.

Mestre 18 luglio 2011

Manovra 2011-2014