L’unica sicurezza è l’inutilità del decreto

Martedì, 21 luglio 2009

Alla fine è arrivato a compimento l'ennesimo, tanto annunciato quanto inutile, decreto sicurezza. Va pur detto che non tutto è da buttare. Penso a tale riguardo alle aggravanti previste per gli "scafisti", e per chi in generale organizza la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione, come pure alle misure per favorire gli accertamenti patrimoniali e le rispettive misure di prevenzione nei riguardi di soggetti sospetti di collegamenti con associazioni mafiose. Ma è l'impianto complessivo del decreto la lasciare alquanto perplessi. Emerge infatti in filigrana l'impostazione prettamente ideologica, e davvero assai poco razionale, di numerose norme.
In primo luogo la istituzione del reato di clandestinità. Vero è che la clandestinità in sé non è certo un valore che può difeso a prescindere. Ma altrettanto è vero che è decisamente aberrante mettere sullo stesso piano lo straniero clandestino che delinque abitualmente, e gli stranieri che lavorano come braccianti sfruttati e sottopagati, o le persone che svolgono compiti di assistenza nelle nostre famiglie e che ci consentono così di contenere i disagi derivanti dalle ampiamente insufficienti prestazioni dello stato sociale.
I punti di caduta della disciplina introdotta in materia sono molteplici.
Va innanzitutto rilevato che non si è prevista una pena detentiva, bensì una mera ammenda di importo compreso tra i 5.000 ed i 10.000 euro. Mi chiedo come si possa pretendere di immaginare che tale previsione sia un grado di svolgere un qualsivoglia effetto deterrente. Non si spaventeranno di certo I criminali dediti ordinariamente al compimento di attività delittuose, quali, solo per fare qualche esempio, il traffico di stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione, crimini per i quali sono previsti numerosi anni di carcere. Del resto mi chiedo come si farà, a tutto voler concedere, una volta che taluno sia stato condannato per il reato di clandestinità, a fargli pagare una l'ammenda che gli sia stata inflitta. Si pensa forse di mandare al condannato un'ingiunzione con cui gli si intima il pagamento? E dove, di grazia, gliela si notificherà, visto che, per l'appunto, un clandestino, per definizione, non ha, né può avere, una fissa dimora? Né, è appena il caso di osservare, questi criminali saranno così malaccorti da tenersi in tasca somme rilevanti, per la semplice ragione che le stesse, in quanto provento di attività criminali, sarebbero in ogni caso soggette a confisca.
Ed allora è evidente che le uniche persone verso cui questa disposizione è in grado di realizzare un qualche effetto sono proprio e solamente quelle che, per quanto non in regola con il permesso di soggiorno, lavorano e magari si tengono addosso quei pochi denari guadagnati senza fare del male ad alcuno.
Ma anche a non volersi preoccupare dei profili di dubbia efficacia dianzi stigmatizzati, quello che maggiormente preoccupa gli addetti ai lavori è il carico aggiuntivo di attività burocratica che costituirà l'inevitabile effetto collaterale della normativa in oggetto. Come forze di polizia ci vedremo costretti ad istruire decine di nuove pratiche per il reato penale di clandestinità che porterà nella migliore delle ipotesi a condanne che, per quanto si è detto, sono destinate a non essere mai eseguite. Ma, per l'appunto,una condanna sottende anche l'esistenza di un processo che deve essere celebrato. E dunque, oltre alle risorse delle forze di polizia, verranno assorbite anche risorse del non meno disastrato sistema giudiziario, e per di più scaricando oneri aggiuntivi sui Giudici di Pace, organi che già sono in notevole sofferenza, e che per effetto di tale carico aggiuntivo di competenza sono destinati ad accumulare ritardi ulteriori nella trattazione delle pratiche civili che riguardano la parte del contenzioso di maggiore diffusione, quali le cause per il risarcimento della quasi totalità dei sinistri stradali, nonché di tutte le cause che in linea di principio vedono coinvolti i consumatori. In altri termini un ulteriore duro colpo portato all'interesse alla sollecita definizione dei processi che vedono coinvolti la generalità dei consociati.
Si aggiunga che tutto questo avviene proprio nel momento in cui, a dispetto delle puerili negazioni dei ministri di riferimento, i bilanci per la sicurezza sono stati oggetto di drastici ridimensionamenti. Di talché gli effetti negativi si sommano ed entrano in risonanza. In pratica mentre da un lato si tagliano risorse vitali per gli apparati della sicurezza e della giustizia, dall'altro li si sovraccarica di ulteriori oneri burocratici in forza dei quali, a fronte soprattutto della diminuzione degli organici, per riuscire ad arginare questa onda di piena si dovranno per forza di cose sottrarre uomini dal controllo del territorio per destinarli al compimento di attività meramente burocratica.
Un perverso effetto che certo non può non essere stato preso in considerazione. Anzi, è probabile che tutto ciò rientri proprio in quella strategia di svilimento del ruolo delle tradizionali forze di polizia, tentativo dal Siulp più volte denunciato. Un disegno tanto devastante quanto pericoloso per la tenuta delle istituzioni democratiche, reso ancor più manifesto dal consolidamento delle <ronde>, da oggi munite del suggello legislativo, e dall'impiego dei militari negli ordinari servizi di polizia.
Si tratta in buona sostanza di qualcosa di molto più grave di un semplice decreto emanato per accontentare la pancia di certa parte dell'elettorato. È l'avvisaglia di una deriva plebiscitaria che tende a ripercorrere strade che già in passato hanno portato ad oscuri periodi storici.
Ritengo sia quindi necessario che contro queste logiche autoritarie si coalizzi un fronte quanto più coeso possibile, che sappia declinare all'opinione pubblica i rischi che si annidano dietro la propaganda di facciata divulgata, ahinoi, a reti sempre più unificate.

Silvano Filippi - Segretario Regionale Veneto SIULP

Venezia, Mestre 21 luglio 2009

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