Il 2015, anno di passaggio per il Veneto?

Giovedì, 31 dicembre 2015

Il 2015 potrebbe essere per il Veneto l’anno che segna il passaggio dal declino alla ripresa. Il condizionale è opportuno perché ci sono molte cose da fare affinché questo atteso passaggio si concretizzi.

Partiamo però da quello che il 2015 ci ha messo in tasca.

I provvedimenti del governo hanno indubbiamente rimesso in moto la spirale virtuosa crescita-occupazione- consumi anche perché Renzi ha saputo prendere al volo le opportunità offerte dalle positive congiuntura internazionale (dollaro, petrolio, ripresa in molti Paesi).

Il Veneto ne ha beneficiato da una parte con la crescita dell’export, i buoni risultati del turismo, il consolidamento dell’agro-industria, la ripresa degli investimenti e dall’altra con lo stop alla perdita di posti di lavoro (in corso da fine 2008), i primi saldi positivi tra assunzioni e cessazioni, il rifiorire dei contratti a tempo indeterminato (che, fino allo scorso anno, venivano dati come forme di lavoro in via di estinzione) e la progressiva chiusura di molte Cig con il ritorno dei lavoratori sospesi alla produzione.

Le misure disposte dal Governo ed approvate del Parlamento con la legge di Stabilità 2016 possono dare una ulteriore spinta alla economia regionale che si dimostra molto reattiva alle scelte politiche nazionali.

Se poi la sfida aperta in questi giorni con l’Unione Europea per passare dalle politiche di austerity a quelle per lo sviluppo (come richiesto dal sindacalismo italiano ed europeo da anni) portasse a qualcosa di concreto per il Veneto ci sarebbero ulteriori occasioni da sfruttare.

Per completare il passaggio dal declino alla ripresa non basta però fare affidamento sulle sole condizioni internazionali, europee e nazionali.

Non basta nemmeno far conto sulle capacità delle singole aziende di adattarsi, rinnovarsi e tornare a competere. In Veneto, specie nel manifatturiero, sono state fatte importanti riorganizzazioni grazie ad una contrattazione, che messa alla prova dalla crisi, ha saputo rompere gli indugi e prendere nuove strade anche a costo di abbattere i cartelli di divieto di accesso.

Questi ultimi sette anni potremo ricordarli come quelli in cui le Parti Sociali venete hanno dato vita alla “contrattazione nuova” le cui potenzialità sono ancora in gran parte da scoprire.

Per lasciarci definitivamente alle spalle la crisi serve anche una accelerazione nelle politiche regionali e locali che possono influire nel sistema economico, occupazionale e anche sociale del Veneto.

Banche locali, semplificazione burocratica, efficientamento del sistema delle autonomie locali (è possibile che sia più facile riformare il bicameralismo che a fondere due Comuni?), servizi per l’impiego e la formazione professionale, infrastrutture, sistema socio- sanitario, sono solo alcuni dei temi su cui non si può più procrastinare scelte e decisioni conseguenti.

C’è una tendenza (purtroppo diffusa) che va rimossa: quella di riformare, di cambiare, di riorganizzare solo se costretti da interventi coercitivi dello Stato o dell’Unione Europea. Non è un buon biglietto da visita per ottenere maggiore autonomia.

Dobbiamo ricostruire quasi centomila posti di lavoro persi, migliaia di imprese chiuse, la inclusione sociale delle famiglie emarginate dalla crisi. E dobbiamo farlo con il passo da bersagliere.