Referendum, punto e a capo

Mercoledì, 15 giugno 2011

I risultati dei quattro referendum vengono considerati un po' da tutti come il segnale di un cambiamento per la vita civile, politica e, aggiungiamo noi con sottolineatura, economica italiana.

Certamente la partecipazione al voto è sempre un buon indicatore di cittadinanza partecipata. Vale anche per il Veneto pur se, come dice la Fondazione Cattaneo, siamo la seconda regione (dopo la Lombardia) per astensionismo aggiuntivo (quello in più rispetto alla media delle ultime tornate elettorali). Fenomeno comprensibile visto che l'elettorato veneto è in gran parte orientato verso i partiti della maggioranza che aveva proposto ed approvato le leggi ora abrogate.

Non crediamo sbagli chi vi ha letto anche una rottura dell'affascinazione tra il leader politico/capodigoverno e quel "popolo" a cui spesso si rivolgeva direttamente. Se così è, sarebbe la fine di un'altra delle tante epoche brevi cha hanno costruito il lungo tracciato della storia nazionale.

Infine, ed è quello che più ci interessa come sindacato, i referendum chiudono con alcune scelte rilevanti per lo sviluppo economico prossimo futuro.

Possiamo dire che il No al "legittimo impedimento" è anche un No a quell'effluvio di proposte, ipotesi e progetti di riforma della giustizia che, nei fatti, riguardavano il diritto di pochi (si è coniato perfino il termine "leggi ad personam"). In effetti ciò che serve è una giustizia che funzioni, che sia efficiente, per tutti. E non è solo una giusta (e ben motivata) aspirazione etica e sociale ma anche una chiave di volta per attrarre investimenti, per dare certezze che le controversie, di impresa come del lavoro, si risolvono rapidamente. Anche questo serve per rilanciare lo sviluppo.

Il No al nucleare chiude un capitolo che, in modo confuso, si era riaperto negli ultimi anni: quello delle fonti di energia nazionali. Ora ci troviamo in una situazione ancora più complessa: Porto Tolle bloccata, nucleare spento e fotovoltaico tremolante. Ma soprattutto senza un piano energetico nazionale e con un'economia dove il manifatturiero, che di energia ha bisogno, conta ancora molto. Forte è  poi il rischio non essere più competitivi in alcuni settori (alluminio, tanto per restare in Veneto) dove il costo dell'energia incide parecchio sui prezzi dei prodotti.

Infine i No sull'acqua. Se le privatizzazioni spinte, obbligate e senza controllo non vanno bene, è però altrettanto vero che il bene acqua, sempre più prezioso, lo buttiamo via, con una dispersione dovuta alle deficienze di molte reti idriche con un consumo smodato ed irrazionale. In Veneto abbiamo acquedotti pubblici, specie consortili, che funzionano bene, investono, offrono acqua di qualità, non pesano più del dovuto sulle spalle dei cittadini ed in modo equo su quelle dei consumatori. Sono buoni esempi che si affiancano però a situazioni di frammentazione localistica e municipalistica, ad una politica ambientale che considera solo l'acqua che arriva e non quella che se va (il sistema fognario, la difesa del suolo, ecc.).

Eccoci al dunque: i referendum, anche con la carica di emotività (positiva e negativa) che hanno portato con sé, fin dentro le urne, hanno messo un punto fermo a molte scelte che riguardano direttamente lo sviluppo del Paese. E siamo tornati a capo. Ora però serve ricominciare. Con la stessa, se non maggiore, partecipazione. Con eguale passione ma senza emotività. Con buone leggi, quelle che magari smussano un po' le punte irte dei principi indiscutibili ma ne garantiscono una utile applicazione, senza futuri pentimenti.

Franca Porto