I perché dello sciopero del 9 dicembre

Sabato, 05 dicembre 2020

La proclamazione dello sciopero del pubblico impiego per il prossimo 9 dicembre da parte delle categorie di Cgil Cisl Uil ha provocato la reazione sdegnata di molti intellettuali e opinionisti nel nostro paese e anche in Veneto. L’accusa al sindacato confederale è quella di aver assunto un atteggiamento irresponsabile in un momento di grave emergenza sanitaria ed economica del paese.

E’ meglio, forse, rovesciare la domanda e interrogarsi sul motivo per cui il sindacato è stato costretto, in una fase così problematica, ad assumere un’iniziativa così grave. Perché le categorie di Cgil Cisl Uil, al contrario di tanti sindacati autonomi, hanno affrontato quest’anno terribile con grande spirito di servizio e senso di responsabilità e la proclamazione dello sciopero è l’atto estremo con il quale si vogliono denunciare le tante scelte sbagliate da parte del Governo.

Chi sono le lavoratrici e i lavoratori coinvolti da questa mobilitazione? In Veneto, nel 2018, i dipendenti del comparto pubblico (Scuola e Polizia escluse) erano circa 100.000 e nell’ultimo triennio si può stimare che una cifra tra il 5% e il 10% siano usciti dagli organici per pensionamento, in molti casi senza nessun turn over. Più della metà (50.485) sono le lavoratrici e i lavoratori del comparto sanità, quelli maggiormente coinvolti nella lotta al Covid-19. Circa 39 mila sono invece gli addetti degli enti locali (Regione, Province, Comuni) e 11 mila i dipendenti di ministeri, enti pubblici non economici e agenzie fiscali.

Molti di loro hanno garantito il funzionamento della pubblica amministrazione e hanno svolto i compiti straordinari imposti dalla pandemia. Oltre al personale della sanità, pensiamo ai vigili urbani che nel territorio hanno vigilato sull’applicazione delle norme previste dai vari DPCM o dalle ordinanze regionali. Pensiamo agli addetti alle dogane che hanno controllato e verificato tutto il materiale sanitario importato dall’estero, bloccando i prodotti non conformi e preoccupandosi di mettere a disposizione della Protezione Civile in tempi rapidi tutto quanto era necessario per combattere la pandemia. Pensiamo al personale della Regione e dell’INPS che, pur in smart working, ha lavorato senza sosta e ha permesso ai lavoratori in cassa integrazione nella nostra regione di ricevere i sussidi in tempi brevissimi, nonostante la straordinaria mole di domande pervenute. Gli esempi potrebbero continuare a lungo.

Quali sono le richieste sindacali? Il sindacato ritiene che ci sia un enorme bisogno di ammodernamento della pubblica amministrazione. Ma ritiene che il processo di innovazione debba avvenire con il diretto coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori del comparto. Non crediamo che il cambiamento della Pubblica Amministrazione possa avvenire per decreto. I tanti fallimenti degli scorsi anni lo testimoniano.

Per questo motivo, a fronte di un contratto scaduto da oltre 24 mesi, il sindacato ha avanzato delle richieste e delle proposte di confronto: rivediamo l’organizzazione del lavoro, ammoderniamo il sistema di inquadramento, spingiamo sulla contrattazione decentrata con un salario accessorio legato al raggiungimento di risultati, regolamentiamo lo smart working (che richiede un cambiamento di impostazione organizzativa, che deve partire dai dirigenti), adeguiamo il salario all’inflazione, adeguiamo gli organici alle esigenze, limitiamo il precariato.

A fronte di queste richieste, avanzate mesi fa, il Governo non ha mai convocato il sindacato di categoria e ha predisposto una legge di bilancio che non contiene le risorse né gli indirizzi che possano dare una risposta adeguata alle richieste sindacali.

Anziché accusare i lavoratori della sanità, degli enti locali e degli enti centrali per la scelta di scioperare, sarebbe più utile rendersi conto che senza il loro attivo coinvolgimento la Pubblica Amministrazione verrà ulteriormente indebolita e impoverita, a danno di tutta la comunità nazionale.

Gianfranco Refosco, Cisl Veneto