La crisi c’è.

Martedì, 26 maggio 2009

Non sappiamo quante navi mercantili siano ferme nei porti del Sudest asiatico in attesa che l'economia mondiale si rimetta in moto e con essa il traffico delle merci.
L'intensità della crisi noi la misuriamo innanzitutto dal lavoro che essa cancella cioè dal numero delle aziende e dei lavoratori che si fermano.
Viceversa verifichiamo il suo superamento dalla ripartenza del lavoro e quindi delle produzioni e delle occupazioni, eguali a prima o rinnovate.
E come non ci hanno impressionato previsioni e dichiarazioni catastrofistiche così non ci ammaliano le parodie dell'ottimismo di facciata.

La crisi in Veneto c'è e continua a cancellare lavoro.

Ce lo dicono i nostri operatori chiamati a tamponare le emergenze, un lampeggiante acceso in continuazione, con gli ammortizzatori sociali. Ma la conferma che non siamo di fronte ad una suggestione collettiva o ad una lettura forzata ed interessata dei fatti ci viene anche dagli brevi sprazzi di visibilità che si aprono sui dati della crisi quando si dirada la fitta nebbia che li circonda (su questo fenomeno, così pervasivo, quasi fosse ispirato da qualche volubile Zues, ci torneremo sopra).

Il saldo assunzioni- cessazioni dava a marzo, rispetto ad un anno fa, un saldo negativo di 61 mila occupati. Possiamo supporre che ad aprile come a maggio questo valore negativo sia aumentato. Altro lavoro perso è quello degli oltre 14 mila occupati delle piccole aziende per i quali il reddito di lavoro è stato sostituito con quello del sussidio in deroga per i sospesi a cui si deve aggiungere il non lavoro di chi è stato posto in CIG (le ore autorizzate corrispondono ad altri 20-25 mila occupati nei diversi settori della produzioni).

Sono più di 100 mila dunque le persone che mancano al lavoro, che sono ferme, forzatamente inattive. Non lavoro che prende le forme del cassaintegrato, del sospeso, del disoccupato. Che prende le forme di reparti produttivi vuoti, merci non prodotte, servizi inutilizzati, cantieri nemmeno tracciati.

Si sta forse concretizzando "l'ottimismo" di Tremonti che a gennaio commentava che se le previsioni di Bankitalia (PIL -2%) si avveravano si sarebbe tornati al 2006 e non al Medioevo: per il Veneto a 160 mila occupati in meno rispetto al 2008.

Per noi 100 mila persone che non lavorano sono altrettanti redditi individuali ridotti, che pesano sulle condizioni di vita di decine di migliaia di famiglie, che allargano le differenze sociali, che, nelle situazioni peggiori (monoreddito, famiglia numerosa, disagio) fanno scivolare normalissime famiglie di lavoratori verso la povertà.
Per noi 100 mila persone che non lavorano sono investimenti produttivi fermi, interessi bancari che corrono, debiti che si allungano, imprenditoria avvilita, aziende che si auto-consumano.

A questi fatti, indipendentemente dalla loro progressione ascendente o discendente, vanno date risposte nell'immediato e nella prospettiva. Nell'immediato perché il fermo del lavoro, la mancata assunzione, le macchine ferme non si prolunghino verso un finale fatto di licenziamenti, inoccupazione, distruzione d'impresa.

Nella prospettiva perché la ripresa dello sviluppo non può essere, e non deve essere, la semplice riedizione di ciò che è stato fatto fino ad oggi, non solo nella finanza ma anche nelle produzioni.

La Cisl del Veneto ha ribadito questi concetti nel suo recente congresso regionale con argomenti che hanno trovato conferma nell'appena concluso XVI congresso nazionale: uscire dalla crisi con un modello di sviluppo nuovo, compatibile con l'uomo, compatibile con l'ambiente, compatibile con il mondo intero e non solo di una sua parte.

La crisi c'è, vogliamo che ci siano anche le risposte.

Veneto crisi, Franca Porto