La contrattazione che fa bene a tutti

Mercoledì, 20 gennaio 2010

Il parlare di contrattazione e, soprattutto di fare contratti, in una fase di crisi durissima per le imprese e per i lavoratori come quella che stiamo attraversando (anche in Veneto) fino a qualche tempo dava più l'idea di una provocazione o di una illusione.
La riforma del sistema contrattuale concordata tra sindacato e imprenditori, sottoscritta nell'accordo del 22 gennaio anche con la firma del governo, con i suoi contenuti che hanno rivoluzionato le regole, scritte e non scritte, fino ad allora in vigore, sta determinando un capovolgimento degli atteggiamenti dei soggetti contrattuali. La contrattazione, con le nuove regole, può essere, proprio in un momento di crisi, una occasione, uno strumento in più per favorire la ripresa complessiva ma anche la competitività della singola impresa.
Certamente, quest'ultima affermazione, può sembrare ancora a molti più un auspicio o una pura dichiarazione di intenti che la sintesi di un percorso reale, concreto che si è aperto nelle relazioni industriali e sindacali. Certamente, come per ogni potenziale grande cambiamento, la tendenza vedere le cose e a ragionarvi con una visione ed una mentalità consolidatasi in decenni di pratica contrattuale può offuscare e, in alcuni casi, anche prevalere sulla novità. Il conservatorismo e l'abitudinarietà spesso hanno partita vinta rispetto al cambiamento, ma di vittorie di Pirro si tratta.
Peggio ancora se questi atteggiamenti "pigri" prevalessero in un campo, come quello delle relazioni sindacali che incidono direttamente e profondamente nella gestione del lavoro, delle produzioni, delle retribuzioni: non usare strumenti più efficaci, perdere occasioni se è sempre un fatto negativo, lo è ancora di più in fasi di difficoltà di sistema e di impresa. E' sempre bene avere una buona alimentazione ma sarebbe da autolesionisti mangiar male quando non si sta bene.

Sulla validità e la concretezza delle nuove regole (d'altronde era da almeno 10 anni che se ne discuteva) ci sono già, a distanza di pochi mesi, conferme, e che conferme!
Chi avrebbe scommesso sul rinnovo del contratto nazionale del metalmeccanici? Ed invece è stato fatto, prima della sua scadenza (per la prima volta), senza scioperi (per la prima volta), senza scambi tra un istituto contrattuale e l'altro (come è avvenuto negli ultimi rinnovi) e con risultati concreti e notevoli innovazioni (costituzione Fondo comune di settore a gestione bilaterale).

Ma veniamo al succo della riforma che così si può sintetizzare: nei contratti nazionali si decide su alcune questioni (recupero salariale sul costo della vita, regole generali sulla gestione del rapporto di lavoro, bilateralità ) mentre il resto viene lasciato tutto alla contrattazione cosiddetta di secondo livello (aziendale o territoriale).
La contrattazione aziendale (o territoriale) ha recuperato così uno spazio di azione molto vasto ed i suoi attori possono operarvi per costruire modelli di relazioni azienda- lavoratori cuciti su misura e non solo negli aspetti marginali della retribuzione, della gestione dell'organizzazione del lavoro, delle relazioni tra lavoratori ed azienda.

La rigidità del vecchio sistema, che pure ci ha accompagnato nella industrializzazione del paese e nelle prime grandi ristrutturazioni dell'apparato produttivo e nonostante il positivo adeguamento delle sue regole avvenuto negli anni '80 e '90 (dal superamento della scala mobile alla concertazione), toglieva ossigeno (sia negli aspetti "quantitativi" che "qualitativi") alla contrattazione aziendale e questo causava spesso due fenomeni: da una parte accordi aziendali insoddisfacenti per entrambi i contraenti e dall'altra il rifugiarsi nella contrattazione individuale e l'innalzamento di barriere protettive anti- sindacato.
Le nuove regole invece offrono grandissime prerogative, potestà e ruolo decisionale ai lavoratori e alle loro rappresentanze locali come alle aziende (singole o per gruppi omogenei locali) e alle loro direzioni.
Già questo fatto può essere considerato una sfida culturale di grandissima rilevanza per tutti coloro che agiscono nelle relazioni sindacali aziendale: sindacati ed associazioni imprenditoriali locali, RSU e dirigenti aziendali, consulenti ed amministratori e, nelle piccole realtà, lo stesso imprenditore.

Pochi giorni dopo l'accordo del 22 gennaio alla Luxottica si sottoscriveva un protocollo d'intesa sul welfare aziendale finalizzato a distribuire remuneratività ai dipendenti sulla base di meccanismi solidaristici. Una cosa impensabile fino a qualche mese prima.

Uno degli elementi centrali della contrattazione riformata è il salario aziendale (o territoriale). Le nuove regole offrono spazi di confronto e di accordo di straordinario interesse per le parti se queste ne sanno cogliere il valore innovativo. In primo luogo va ricordato che oggetto della nuova contrattazione è, senza equivoci, la redditività dell'impresa e quindi la sua redistribuzione tra coloro che hanno concorso a realizzarla, lavoratori dipendenti compresi. Questo se il guadagno (mi si passi la terminologia semplificata ma forse più adatta a farci capire la sostanza delle cose) c'è. Non possono quindi più esistere le piattaforme aziendali fotocopia e gli accordi aziendali fotocopia.
In conseguenza di ciò risulta anche evidente che tutti i soggetti della produzione sono interessati a concorrere ad aumentare la redditività della "propria" impresa migliorandone l'organizzazione del lavoro, attivando investimenti materiali o formativi, la qualità nella produzione (sia essa di beni che di servizi), incrementando la produttività ma anche la sicurezza, ecc.
Certamente ci vogliono strumenti di verifica e controllo adeguati e che abbiamo il consenso e riscuotano la fiducia di tutti gli interessati. Dal loro buon funzionamento dipendono anche il clima interno e le relazioni sociali dentro l'azienda. Non sono cose di poco conto.
Pensiamo solo al fatto che il successo, non effimero, delle aziende innovative (e non solo per l'aspetto tecnologico) dipende anche, molto, dalla esistenza di relazioni mature tra lavoratori ed azienda. Dove per maturità non si intende cancellazione dei diversi ruoli ed interessi ma individuazione di comuni obiettivi, ripartizione equa dei risultati, valorizzazione del lavoro di tutti. Tutto ciò non si costruisce e si consolida con fumisterie partecipative e/o collaborazioni forzose e, nemmeno, con le mance di fine anno.
Qualcuno ha criticato la sottoscrizione dell'accordo sulla riforma del sistema contrattuale da parte del governo. Che c'entra? è stato detto. Per la Cisl il governo ci entra eccome!
E non solo perché vogliamo che la riforma valga per il sistema contrattuale pubblico (che ne ha grandissimo bisogno, più di tante parole che si stanno spendendo in questo periodo) ma anche per impegnare l'esecutivo a sostenere con adeguate politiche, in primo luogo fiscali, questo nuovo percorso.
Dopo la scelta di detassare lo straordinario i provvedimenti governativi si sono riportati sul canale che avevano indicato: la riduzione delle tasse sui premi di produzione collegati all'andamento dell'azienda. La detassazione delle retribuzioni a nostro avviso infatti deve saper cogliere due piccioni con la stessa fava, sia perchè non abbiamo di che sperperare, sia perché non si possono dare messaggi sbagliati (non a caso l'operazione sullo straordinario si è rivelata, a breve distanza di tempo, anacronistica) al mondo del lavoro e delle imprese.
La detassazione del salario aziendale contrattato sulla base delle nuove regole e di valori indicati come prevalenti nelle stesse è un valido incentivo a percorrere le nuove strade della contrattazione, premia chi (persone e aziende) si impegna in questo sforzo di rinnovamento nelle relazioni, apre una competizione in positivo e emargina le rendite basate sulla coltivazione della contrapposizione ingiustificata degli interessi, della conflittualità finalizzata ad altri scopi, dell'antagonismo di facciata.
La Cisl ha chiesto, ed insiste su questo, che questa detassazione sia totale e definitiva. Essa riguarda parti aggiuntive del salario e quindi nulla va a togliere alle entrate fiscali dello Stato a cui già, peraltro, il reddito di lavoro contribuisce in modo eccezionalmente sproporzionato.
Al contrario potrebbe favorire la emersione di pezzi di retribuzione in nero.
L'assoggettamento di queste somme invece alle trattenute previdenziali, magari limitate, favorisce invece quel risparmio previdenziale più che necessario per le giovani generazioni di lavoratori a cui la pensione sarà garantita e calcolata con il sistema contributivo.
Infine la ottimizzazione del rapporto tra quanto l'impresa spende e quanto il dipendente riceve troverebbe un attracco sicuro e positivo al posto di rimanere oggetto di lamentazione, di altalenanti minacce e di inefficace populismo.

Insomma: la via della contrattazione che fa bene a tutti è aperta. Dobbiamo, dopo averla pretesa e cercata per molto tempo, praticarla senza paura.

Riforma della Contrattazione, Franca Porto