Imparare da San Josè

Martedì, 19 ottobre 2010

Il salvataggio dei trentatré di San Josè ci insegna qualcosa sul che fare per portar fuori le imprese, e con esse il lavoro, intrappolate nel buco profondo della crisi? Noi crediamo di sì.
Cominciamo dall'ordine di uscita dei mineros, frutto di una scelta razionale, con priorità finalizzata al salvare tutti e consideriamone i criteri: prima i più esperti e attenti (i battistrada), poi i più deboli (per evitargli altre sofferenze) ed infine i forti (che meno hanno sofferto). E' applicabile anche alle imprese (senza meccanica sovrapposizione): le più esperte sono quelle che hanno fronteggiato la crisi, predisponendo condizioni per trarne vantaggi in termini di rafforzamento nei mercati, internazionalizzazione, migliorando dei prodotti. Così è, per esempio, la Fiat del progetto Fabbrica Italia.
A queste servono le condizioni per sviluppare vantaggi acquisiti e potenzialità, compresa la stabilizzazione e l'allargamento della occupazione dipendente e quindi fiscalità incentivante, ricerca applicata, crescita della produttività, professionalizzazione delle maestranze e partecipazione ai risultati d'impresa.
Poi le imprese in difficoltà, il gruppo più consistente, che stanno pagando la recessione con difficoltà finanziarie, perdita di quote di mercato, attività produttiva ferma o molto rallentata. A queste vanno dati strumenti per non collassare: credito ed ammortizzatori sociali, ma anche per riprendersi magari rinnovando produzione e/o proprietà ed eguale opportunità va data ai loro dipendenti con riqualificazione ed servizi re-impiego. Parliamo di molti dei casi al tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico ma anche di moltissime piccole e medie aziende manifatturiere e dei servizi. Proprio in queste ultime abbiamo decine di migliaia di posti di lavoro in ballo e da queste derivano molti di quelli persi. Si tratta di salvare non un elenco di nomi di società ma un insieme di imprenditorialità e lavoro.
Infine le forti, quelle non danneggiate dalla crisi. Magari perché appartenenti a settori non toccati dalla recessione come, ad esempio, agroindustria e mobile.
Queste devono essere messe in condizione di crescere, di assumere, di ampliare i loro mercati: per loro vitamine di competitività e produttività.
Ma, da San Josè, dobbiamo soprattutto imparare il metodo con cui si è operato.
Alla faccia di una idea dell'America Latina come terra di caotica emotività, si è invece disposta una perfetta macchina organizzativa, che ha messo insieme, sincronizzandone ogni mossa, il meglio della scienza, della tecnologia, della volontà e della coscienza civile e sociale del Cile. Anche la politica si è adattata alla situazione, magari per sfruttarne gli effetti, ma mettendoci comunque la faccia.
Questo è il metodo che ci serve e che sarà alla base, a livello nazionale, del Patto Sociale per cui stiamo lavorando. Ed è anche il metodo che proponiamo per il Tavolo per lo sviluppo del Veneto che ha oggi il suo battesimo ufficiale.

Franca Porto