Dai metalmeccanici un contributo al Veneto che vogliamo

Sabato, 15 dicembre 2012

Abbiamo fatto un contratto che somiglia all'Italia che vogliamo”. Raffaele Bonanni ha dato così la più felice delle definizioni al nuovo contratto nazionale di lavoro sottoscritto nei giorni scorsi tra Fim, Uilm e Federmeccanica. La somiglianza al Paese che vogliamo è nei suoi contenuti ma anche nella filosofia e nel contesto in cui è stato realizzato.

Cominciamo dalla fine, il contesto: l’industria metalmeccanica, che in Veneto trova terra d’elezione, è ancora oggi l’emblema del manifatturiero italiano, spina dorsale della nostra economia. Non a caso sta vivendo la crisi internazionale in tutti i suoi aspetti, da quelli positivi (l’export verso i c.d. paesi emergenti, che tira) a quelli negativi (la produzione rivolta al mercato interno, che cade). Su di essa pesano le inefficienze e le mancate scelte in materia di politica economica e industriale degli ultimi trenta anni: i costi eccessivi dell’energia e del credito, la divaricazione tra ambiente e produzione, la carenza di infrastrutture logistiche. Nello stesso tempo emergono le sue eccellenze e le sue enormi potenzialità di competere in tutto il mondo.

La filosofia del nuovo contratto è stata quella di non ibernare le relazioni industriali di fronte alla parte dolorante del settore, piagato dal miliardo di ore di CIG consumate in questi 4 anni di crisi (il 10% nella nostra regione) e da decine e decine di aziende chiuse, ma di puntare invece su quella parte che ha superato le difficoltà o che vuole, e può, giocare la partita del futuro. Lo ha fatto portando a pieno regime le prerogative che gli appartengono: da una parte tutelare i salari dall’inflazione (quindi soldi per mantenere i consumi distribuendo 6 miliardi di euro in tre anni) e dall’altra potenziando la contrattazione aziendale sulla gestione del lavoro (orari, organizzazione, prestazioni, professionalità: gli strumenti con quali si può realizzare competitività aggiuntiva).

Aggiungiamo: somiglia al Paese che vogliamo perché è stato fatto, questo contratto, con la piena responsabilità di chi lo ha sottoscritto e mettendo all’angolo quelle anacronistiche pretese di veto che nel sindacato come in altri ambiti della vita politica e sociale, vorrebbero impedire, e spesso ci riescono, ogni reale cambiamento. Le assemblee di fabbrica ed il referendum finale, confermeranno che si è anche rispettato le regole della democrazia .

Ma la somiglianza con il Veneto che vogliamo sarà ancora maggiore quando il disposto nazionale si combinerà con quanto previsto dall’accordo sulla produttività concluso con gli imprenditori lo scorso 16 novembre costituendo in ogni singola azienda e fabbrica un spazio di contrattazione ampio come non mai. Uno spazio di contrattazione finalizzato ad accrescere redditività, competitività, salario (detassato) e protezione sociale integrativa. Uno spazio dove si vince dove meglio si collabora e non dove più ci si scontra.

Nella nostra regione si può ora, finalmente, cucire un abito su misura in quelle più di mille fabbriche metalmeccaniche dove lavora il 70% dei 150.000 dipendenti del settore e in cui già si pratica il contratto aziendale. E nulla vieta che il giro virtuoso si allarghi ancora di più. Ognuno facendo la sua parte, ognuno condividendo responsabilità e risultati. E’ il contributo nuovo, ma non certamente il primo, che i metalmeccanici veneti daranno al Veneto che vogliamo.