Fiat: orgoglio e pregiudizi

Lunedì, 04 maggio 2009

Panda salva Jeep. Il salvataggio della morente Chrysler, uno dei giganti della patria dell'auto, Detroit, da parte della Fiat ha rialzato le bandiere dell'orgoglio nazionale che saranno ancora più sventolate se si conclude anche l'acquisizione di Opel. Una fierezza, espressa dal presidente della Repubblica, che non è un sentimento sbagliato. Avere più fiducia sulle nostre capacità, in quelle del nostro lavoro produttivo ed industriale, è cosa utile anche per superare la crisi.
Tutto bene quindi, ma le felicitazioni vanno condite con alcune considerazioni .
La Fiat, fino a qualche anno fa afflitta da una crisi irreversibile, sembrava un'azienda spacciata. Il partito degli anti-grande industria (che trova molti sostenitori in Veneto) aveva così trovato così nuovi argomenti nello schierarsi, qualche mese fa, contro gli aiuti pubblici all'auto: sotto il cartello Niente aiuti alla Fiat si erano radunati in tanti, compresa una parte del governo.
L'epilogo di questa vicenda, che ci vede vigili sul fronte occupazionale interno, da Torino a Termini Imerese, dovrebbe rappresentare una lezione multipla per i propugnatori di quel semplicismo nell'analisi dei problemi economici che, prendendo spunto dalle discussioni di osteria e mescolando una molteplicità di pregiudizi ne eleva i contenuti a strategia di politica industriale.
La grande industria (a livello nazionale la Fiat, in Veneto Porto Marghera) indicata come grande nemico da combattere quale mangiatrice dei soldi dello Stato (che invece opprime fiscalmente le piccole), privilegiata rispetto alla piccola (viceversa maltrattata) e in grado di comandare sulla politica, è diventato in questi ultimi anni un argomento in gran uso per catturare facili consensi.
Dimenticando che il settore auto in Italia va ben oltre gli stabilimenti Fiat: basti considerare l'indotto, costituito da centinaia di piccole aziende e dall'insieme dei posti di lavoro, e le competenze e professionalità che da questo settore nascono e si diffondono.
Dimenticando che l'economia di un Paese avanzato è fatta dall'insieme delle produzioni, delle imprese e dei lavori che ne costituiscono il sistema; sempre che non si prediligano le economie dei Paesi in via di sviluppo: due o tre attività prevalenti e, quando ne salta una, si va in miseria.
Dimenticando che una parte delle piccole imprese, comprese quelle veneta, è nata con il decentramento produttivo (un processo esploso alla fine degli anni '70) delle grandi, di cui spesso non sono nient'altro che un reparto produttivo fisicamente separato.
I pregiudizi messi a dura prova dalla vicenda Fiat non finiscono qui.
Ora conosciamo direttamente il ruolo ed il peso della partecipazione dei lavoratori e del loro sindacato al capitale. E stiamo parlando di Stati Uniti d'America, il paese che ci viene indicato come il più liberale e liberista del mondo democratico. Stiamo parlando dei Fondi Pensione dei lavoratori dell'auto che saranno i veri soci di maggioranza nei primi anni della nuova azienda. Se poi andrà in porto anche l'accordo con Opel avremo anche modo di vedere da vicino il peso ed il ruolo della cogestione sindacale delle aziende in Germania.
Per noi della Cisl, che crediamo nella partecipazione del lavoratori all'impresa (tesi Congresso costituente, 1950), che abbiamo faticato a introdurre i Fondi Pensione (per la previdenza complementare), che riteniamo che le scelte di politica industriale (specie in una fase di crisi) non possa essere determinata dal populismo e che rispettiamo tutto il lavoro e tutti i lavori, l'augurio è che, stavolta il giusto orgoglio per la Fiat comprenda la caduta dei pericolosi pregiudizi contro le grandi industrie, lasciando così il campo libero al vero confronto: la tutela dell'occupazione, la partecipazione dei lavoratori e del sindacato all'impresa, lo sviluppo compatibile. Non è stato sempre così finora.

Franca Porto