Da emergenza ad opportunità: un Veneto più forte grazie ai profughi

Venerdì, 13 gennaio 2017

I prevedibilissimi fatti di Cona hanno scatenato l’ennesima ondata di polemiche che comprendono l’intero caleidoscopio delle frasi fatte sul tema. Come al solito non porteranno a nulla di concreto se non ad accrescere sentimenti di ostilità nei confronti dei profughi.

Nei fatti la politica del No-Profugo non può ad oggi vantarsi di aver raggiunto nessuno degli obiettivi che dichiara di perseguire. Queste persone continuano ad arrivare e così sarà anche nel prossimo futuro se non cambiamo alcune condizioni internazionali (ad esempio la fine dei conflitti  e delle violenza in Libia e nei Paesi sotto il Sahara). Le barriere innalzate da numerose amministrazioni locali verso l’accoglienza diffusa (che pure funziona ottimamente in molti altri Comuni grandi e piccoli veneti) ha generato i mostri come Cona ed ha favorito gli speculatori. Incolpare di questo i Prefetti o lo Stato è semplicemente ridicolo. Possiamo anzi considerarci fortunati se la situazione non ha preso una piega peggiore.

E’ quindi ora di cambiare registro e di cominciare a considerare l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale una opportunità da coltivare. Perché in effetti tale è.

Per cambiare prospettiva non è necessario cambiare opinione sul tema delle immigrazioni (ognuno tenga pura la sua), serve però fare piazza pulita di alcuni pregiudizi.

Ad esempio che, essendo una parte dei profughi, dei “semplici” emigranti economici (lo erano anche i nostri nonni e bisnonni!), non spetta loro nessuna accoglienza. Certo la fame, la mancanza di lavoro, la miseria non danno a loro il diritto ad un titolo di soggiorno, ma nemmeno a noi di trattarli senza rispetto umano. E ancora,: prendere atto che tutti gli untori sono stati clamorosamente smentiti: i giovani uomini e donne che convivono con noi non hanno portato una sola malattia epidemica, aumentato di un solo punto percentuale la criminalità, prodotto un disoccupato in più o un turista in meno.

Su questi presupposti, ecco le opportunità che vanno colte e coltivate.

La prima: gestire bene (in modo organizzato, efficiente ed efficace) l’accoglienza di persone in condizioni di disagio ci permette di costruire una rete di competenze e professionalità, reti che vanno ad irrobustire il sistema del welfare veneto. Come fare? Al posto di alzare barricate e cartelli, politici ed amministratori dovrebbero darsi da fare per promuovere la collaborazione tra cooperative, enti e privati a cui viene affidata l’accoglienza e le associazioni locali del volontariato. Dove questo già avviene profughi e cittadini convivono senza problemi, anzi. Si chiama sussidiarietà, da tutti riconosciuta come la colonna del welfare moderno.

La seconda: passare rapidamente alla accoglienza diffusa, realizzando anche gli SPRAR. Non solo perché ammassamenti umani come quelli di Cona sono degradanti per tutti, ma anche perché questo sistema comporta più di un effetto positivo per il territorio: aumento del personale dedicato all’accoglienza (più posti di lavoro),  ricaduta locale delle risorse spese per l’assistenza (affitti, beni di consumo, stipendi e altro: attualmente circa 160 milioni all’anno), distribuzione delle attività sociali svolte dai richiedenti protezione internazionale che migliorano l’ambiente urbano e la vita sociale e che non costano nulla alla collettività e non portano via un solo posto di lavoro.  Si chiama valorizzare l’economia sociale.

La terza: mettere in campo la formazione professionale. Partendo dal fatto che l’accoglienza assistita dura da uno a due anni, usare questo tempo per formare ad un lavoro significa dare una chance in più a chi, ottenendo un permesso, deve sapersi mantenere autonomamente ma anche mettere nello zaino di chi dovrà rientrare nel proprio Paese competenze da portare con sé. Si chiama aiutare gli altri “A casa loro”.

Ultima opportunità: cambiare l’immagine di un Veneto che si presenta come l’unica regione d’Italia totalmente incapace di superare positivamente questo (tutto sommato modesto) stress test sociale o, peggio ancora, come terra de-umanizzata. Non è così, lo sappiamo bene tutti.

Cambiare pagina è molto più semplice di quanto pensiamo. Lo dobbiamo ai nostri nonni e bisnonni che furono profughi di guerra ed emigranti economici. Lo dobbiamo ai nostri figli che debbono mantenere l’orgoglio di appartenere ad un parte dell’Europa che non scappando davanti ai problemi ma facendosene carico ha sempre saputo trasformare, con il lavoro, le difficoltà in opportunità.