SANITA' IN VENETO: un sondaggio di Fondazione Corazzin per CISL Veneto indaga l’opinione dei cittadini

Venerdì, 29 settembre 2023

Pur apprezzando la qualità di alcuni servizi, i cittadini percepiscono un peggioramento e indicano le criticità, temono l’impoverimento del welfare pubblico a vantaggio del privato, vogliono far sentire la propria voce.

Refosco: «Un rapporto di fiducia da recuperare. Servono interventi regionali urgenti e concreti per invertire la rotta».

Consegnano in generale la percezione netta di un peggioramento in corso nella sanità veneta; in molti esprimono delusione, quando non rabbia e frustrazione, per servizi di qualità inferiore rispetto a solo pochi anni fa, per lunghi tempi di attesa e costi insostenibili, come anche carenza di presidi sul territorio. E in generale, se da un lato riconoscono e apprezzano aspetti di buon funzionamento, in particolare per alcuni servizi, dall’altro hanno piuttosto chiari i nodi di criticità da cui è toccato il sistema, e in parte pure le motivazioni. Ci tengono a dire la loro e a far sentire la propria voce, riconoscono potenzialità di miglioramento: e ci confidano, come se fosse una questione anche di orgoglio del territorio e di “fiducia da riconquistare”.

Potrebbe essere questa la lettura di sintesi delle opinioni espresse dai lavoratori e pensionati che Cisl Veneto ha voluto “ascoltare” con un’indagine condotta da Fondazione Corazzin per conoscere la loro esperienza diretta e il loro vissuto nei rapporti con il sistema sociosanitario regionale. Presentata oggi in conferenza stampa a Mestre, la ricerca ha intervistato 3.527 persone che si sono rivolte al sistema di servizi di Cisl (questionario somministrato tra giugno e agosto). Di loro il 54% sono donne, il 54,2% ha un’età compresa tra i 45 e i 64 anni, il 29,2% ha più di 65 anni e il 16,6% meno di 45 anni. Si tratta per il 55,4% di lavoratori e lavoratrici; il 39,2% sono pensionati e pensionate, il 5% disoccupati e infine lo 0,4% studenti.

Del gruppo intervistato il 31,4% esprime globalmente una valutazione negativa rispetto al funzionamento della sanità veneta nel suo complesso, mentre soltanto il 9,8% si dichiara soddisfatto. Ma c’è pure una fascia parecchio significativa, ben il 58,8%, che ha un giudizio “intermedio”, vale a dire che è abbastanza soddisfatto o non completamente soddisfatto. In particolare, se in passato la sanità pubblica era considerata fiore all’occhiello del Veneto e motivo di orgoglio per i suoi abitanti, ora le cose sono decisamente cambiate. Andando a vedere i dati nel dettaglio, infatti, sono quasi 7 cittadini veneti su 10 a ritenere peggiorato il servizio sanitario pubblico regionale negli ultimi due anni, valutazione che pare riferirsi non solo ai lunghi tempi di attesa ma anche alla qualità stessa del servizio: difficoltà nella presa in carico, debolezza dei servizi territoriali…. Un deterioramento della qualità del funzionamento del sistema che per la maggior parte degli intervistati era cominciato ancora prima del Covid e che la pandemia ha esacerbato e accelerato. 

«È evidente come serva intervenire subito per arrestare il trend di criticità del sistema, ma anche per invertire la rotta di quel malessere diffuso e della mancanza di fiducia verso la sanità pubblica palesato da parte di molti – mette in evidenza Gianfranco Refosco, segretario generale di Cisl Veneto –. Dalle risposte degli intervistati, molto spesso esasperati e arrabbiati per il peggioramento della rete dei servizi, emergono chiaramente i punti deboli del sistema, ma anche i fronti di impegno e possibile intervento da parte della Regione del Veneto, che da tempo come sindacato invochiamo e continueremo a sollecitare e rivendicare. Dopo l’avvio della mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil Veneto, con la Regione si è avviato un tavolo di confronto: serve ora rilanciarlo e soprattutto vedere messo in campo subito un intervento concreto da parte della Regione che segni un cambio netto di direzione».

«Dall’analisi del questionario e delle osservazioni emerge che i Veneti non si sentono ascoltati, non vedono accolti i loro bisogni e non comprendono le ragioni di alcune scelte di politica sanitaria. È poi interessante che una parte molto consistente, il 72,79%, ritenga che si stia favorendo il privato a scapito del pubblico; alcuni poi temono lo smantellamento dello stato sociale» racconta Anna Orsini, presidente di Fondazione Corazzin. «In linea generale però si osserva che i cittadini riconoscono ancora qualità nel sistema, ma non in tutte le sue articolazioni, ad esempio nella valutazione dei pronto soccorso, e denunciano una scarsa affidabilità per i tempi di accesso alle prestazioni. Capiscono i vincoli e i limiti con i quali il sistema opera (uno su tutti, la scarsità di personale), ma chiedono risposte chiare in direzione di un cambiamento e a difesa della sanità pubblica». 

Continuando ad analizzare i dati, anzitutto l’89% degli intervistati ha dichiarato di aver richiesto negli ultimi 12 mesi prestazioni al servizio pubblico (comprese quelle del privato convenzionato), il 74% al privato, considerando naturalmente che un cittadino può essersi rivolto a entrambi nel corso dell’anno.

L’opinione sulle prestazioni della sanità pubblica e privata

Per quanto riguarda le valutazioni date alla sanità pubblica, un buon numero di servizi figura apprezzato dalla maggior parte degli intervistati: intervento chirurgico, per cui il 59,1% di chi ha avuto questa prestazione ha espresso un giudizio positivo; servizi di prevenzione e vaccinazione, con giudizio positivo da parte del 58,9%; visita presso il medico di medicina generale, il servizio maggiormente usufruito e che ha ottenuto valutazione positivo nel 57,5% dei casi, e infine, intervento in Day Hospital per cui il 55% dà un parere positivo. 

Vi sono poi servizi del pubblico che nella valutazione degli utenti emergono con evidenti criticità. Si tratta di nodi di vulnerabilità già noti nel funzionamento del sistema sociosanitario regionale: per il 67,2% di chi ha usufruito del pronto soccorso il giudizio è negativo; insoddisfatto il 57,6% di chi si è rivolto a ospedali di comunità; giudizio negativo espresso dal 54,7% di chi ha richiesto servizi di assistenza infermieristica domiciliare e, infine, valutazione insoddisfatta da parte del 53,6% di chi ha avuto prestazioni di visite specialistiche.  

Analizzando invece la sanità privata, alcune prestazioni in particolare raccolgono un elevato grado di soddisfazione, ovvero visita specialistica 72,3% ha espresso giudizio positivo); esame diagnostico (giudizio positivo per il 71%), intervento chirurgico (66,2% ne è soddisfatto). 

Tempi di attesa e ritardi 

In merito alle tempistiche di attesa delle prestazioni sanitarie, , per quasi sette persone su dieci (68,4%) i tempi non sono stati “corretti” ossia rispettosi di quanto previsto dall’impegnativa, dato che si riferisce però all’ultima prescrizione di un esame diagnostico o di una visita specialistica usufruita dall’intervistato (escludendo chi ha risposto con “non ho usufruito” e “non so”); mentre solamente nel 31,6% dei casi si dice che i tempi sono stati “corretti”. In termini di giudizio, poi, il 47% dei rispondenti si dichiara “completamente insoddisfatto” della tempistica intercorsa tra l’impegnativa e l’esame, mentre solo il 5,1% afferma di essere “molto soddisfatto”. 

Si tratta di ritardi che vanno oltre i tre mesi per il 62,7% degli intervistati, ossia oltre 6 persone su 10 (compresi coloro per i quali non è ancora stata fissata una data). Solamente per l’8,9% delle persone il ritardo si ferma entro un mese. 

Le prestazioni a pagamento 

Il nodo delle tempistiche e dei ritardi, che attraversa in modo trasversale tutta l’indagine, figura come motivazione per il 72,7% degli intervistati nella scelta delle prestazioni a pagamento rispetto a quelle gratuite.

Ed è l’85%, ossia circa 3mila cittadini e cittadine, ad affermare di aver usufruito negli ultimi dodici mesi di prestazioni a pagamento sia nel pubblico che nel privato. Riguardo alla spesa sostenuta (esclusi ticket, farmaci e spese odontoiatriche), risulta di oltre 100 euro per l’87,1% e di oltre 500 euro per il 20%. 

Tra le altre motivazioni individuate dagli intervistati in merito alla decisione di richiedere un servizio a pagamento rispetto a uno convenzionato, il 22,7% dichiara come motivazione di aver cercato un medico specifico di fiducia, il 14,8% perché ritiene che “non c’è sempre qualità nel sistema sanitario pubblico”, il 14,4% perché “non trovava la prestazione richiesta nell’offerta sanitaria della Ulss”, il 4,4% “per la difficoltà di raggiungere la sede prevista per la prestazione”. Infine il 3,6% afferma di aver rinunciato alla prestazione a pagamento a causa del suo costo. 

Interessanti inoltre molte delle opinioni raccolte a margine del questionario: più di 1 persona su 3 ha voluto esprimere una propria opinione “aperta” oltre a rispondere alle domande poste. 

Com’è naturale in questi casi, si tratta soprattutto di critiche relative al vissuto dei rispondenti: rispetto al sistema di prenotazioni e funzionamento dei Cup, ai centri unici prenotazione, e ancora costi alti e "ingiusti”, trattamento complessivo inferiore per prestazioni non a pagamento, scarsa assistenza domiciliare e insufficienti presidi medici e ospedalieri sul territorio, necessità di ridare valore al ruolo dei medici di base che per oltre la metà degli intervistati resta un importante punto di riferimento. E ancora al rischio di una sanità “selettiva” in base al reddito e non più universalistica e garantita come diritto di tutti e tutte.

Un ultimo punto è connesso invece alla carenza di risorse, problema riconosciuto come centrale da un largo numero di lavoratori e pensionati intervistati: oltre il 41% di loro considera utile un aumento della tassazione Irpef ai redditi medio-alti per migliorare il sistema sociosanitario veneto.