Per un salario equo e giusto rimettiamo al centro le lavoratrici ed i lavoratori

Martedì, 19 settembre 2023

La democrazia economica è la riforma più importante da realizzare

Il dibattito di questi ultimi mesi sul salario minimo – tema complesso e assai tecnico – mischia due tipi di problemi collegati ma differenti, che chiedono di essere affrontati con strumenti diversi per essere risolti: la povertà lavorativa e il basso livello dei salari in Italia.

Il primo problema è connesso in misura solo marginale al salario orario applicato ai contratti di lavoro, come del resto risulta da un’analisi attenta dei dati Istat e Inps ed è peraltro riconosciuto nella premessa alla proposta di legge avanzata dai partiti di opposizione.
Riguarda infatti soprattutto persone con basso numero di ore lavorate nel corso della giornata o di giornate nel corso dell’anno, lavori irregolari o forme contrattuali inappropriate (falsi stage, tirocini extracurriculari slegati da percorsi formativi,…). Ciò basta a rendere evidente come l’introduzione di un salario minimo per legge non aiuterebbe sostanzialmente a eliminare il lavoro povero, ma avrebbe il sicuro effetto di smantellare in via progressiva il sistema di copertura contrattuale quasi universale presente nel nostro Paese. Perché oggi chiunque ha un lavoro dipendente sa di poter contare su un contratto nazionale di riferimento dal quale sono fissati standard lavorativi che vanno ben oltre la definizione del minimo contrattuale: domani potrebbe non essere più così. Se invece si intende davvero eliminare il lavoro povero serve piuttosto un’ampia e convinta mobilitazione politica e sociale per combattere storture e precarietà come il lavoro nero, i part time involontari, la precarietà contrattuale e l’abuso di stage e tirocini, rafforzando la contrattazione collettiva.

Il secondo problema, molto più diffuso e trasversale soprattutto dopo questo biennio di alta inflazione, è quello del livello generale dei salari del nostro Paese, su cui senza dubbio alcuno pesa una stagnazione ventennale. In tutti gli stati europei l’andamento dei salari si è mosso in parallelo al tasso di crescita della produttività del lavoro: in Polonia + 100%, in Germania +33%, in Spagna +6%,… In Italia: zero.
Le priorità che abbiamo davanti sono perciò, evidentemente, quelle di stimolare e promuovere investimenti, ridurre il cuneo fiscale sul lavoro e sulle attività produttive, sviluppare innovazioni di prodotto e di processo, e ancora coinvolgere attivamente lavoratrici e lavoratori per riuscire a migliorare produttività e competitività delle imprese, qualificando e valorizzando il lavoro.

Per questi motivi, ne siamo convinti, la contrattazione può essere un fattore strategico di incremento della produttività oltre che di crescita del valore dei salari. E se è vero che bisogna rilanciare la contrattazione nazionale a partire dal rinnovo dei tanti contratti scaduti, è la contrattazione di prossimità che va posta al centro delle politiche di rilancio del Paese, detassando i frutti della contrattazione di secondo livello e allargando il perimetro delle aziende in cui si fa contrattazione collettiva, pure con forme nuove e sfidanti di contrattazione territoriale. Ad essa va affidata anche la definizione di soglie di salario minimo che tengano conto dei diversi settori e delle differenti specificità sociali ed economiche dei singoli territori, come delle diverse leve di sviluppo e competitività da rafforzare anche attraverso la contrattazione, appunto.

Di una cosa siamo convinti, ossia che le relazioni industriali restino la via maestra per la tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, e ancora per la sperimentazione di nuovi modelli di welfare e di partecipazione dei lavoratori alla gestione e alle decisioni aziendali. È il sistema delle relazioni industriali che serve potenziare e far evolvere, adeguandolo ai tempi e rafforzandone gli strumenti, proprio per mirare a una revisione globale del rapporto impresa/lavoratore che rimetta al centro il valore stesso del lavoro rispetto al capitale: inquesto concetto ci sta dentro tutto, compreso il diritto a un salario equo e giusto. Nessuna legge che fissa la retribuzione minima potrà e saprà farlo.

In tutto questo la partecipazione dei lavoratori resta centrale.

Perciò anche nelle sedi CISL e nelle piazze del Veneto è in corso una campagna di raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che legittimi e rafforzi la voce dei lavoratori all’interno delle imprese.

Per noi questa, la democrazia economica, è la riforma istituzionale più importante da realizzare.