Vasi incomunicanti

Martedì, 27 aprile 2010

La decisione del governo di concedere 80 mila permessi di soggiorno ad altrettanti lavoratori stranieri per lavoro stagionale (agricoltura e turismo) ha sollevato molte polemiche, a parti rovesciate, specie nella nostra regione.
In effetti il buon senso (e il senso comune) ci dice che non è molto logico, con decine di migliaia di disoccupati vittime della crisi, chiamare altre persone ad occupare posti di lavoro, sebbene a termine.
Prendiamo il caso del Veneto. Nei primi tre mesi del 2010 circa 33 mila lavoratori hanno presentato domanda di disoccupazione (esclusi gli stagionali). A questi se ne aggiungono almeno altri 30-40 mila che sono in disoccupazione da prima, poi altri ancora che sono senza lavoro e senza indennità di disoccupazione, poi ci sono i lavoratori con la indennità di mobilità e coloro che cercano lavoro per la prima volta. Senza fare numeri (che ancora oggi a nessuno è dato di conoscere se non per stima) possiamo affermare però con certezza che le persone in cerca di lavoro sono molte ma molte di più dei 9.000 posti di lavoro stagionali per la cui copertura si chiamano persone da tutto il mondo, dalla Croazia allo Sri Lanka.
Infine sappiamo che tra queste persone senza lavoro ci sono moltissimi stranieri regolari che, in genere, sono molto propensi a prendere questi lavori e a spostarsi da un luogo all'altro per guadagnare qualcosa.
Come si spiega allora questo paradosso? E quali rimedi vi si possono apporre?
Noi partiamo dal presupposto che tutti siano in buona fede, a partire dalle associazioni professionali che hanno fatto pressioni sul governo per ottenere questi nuovi ingressi e che almeno il 10% dei nostri disoccupati siano più che interessati a fare i camerieri o a raccogliere mele.
Abbiamo quindi evidentemente a che fare con due grandi vasi, uno che contiene migliaia di offerte di lavoro (stagionale) e l'altro che contiene altrettante, se non di più, disponibilità a lavorare. Questi due vasi però non comunicano tra loro, neanche in tempi come questi in cui alla non nuova necessità di manodopera si affianca una reale fame di lavoro. E questo succede in Veneto (anche).
I rimedi.
Il primo vero rimedio è quello di realizzare un sistema efficiente per far incontrare domanda ed offerta di lavoro: un pezzo importante di quel nuovo welfare sul lavoro che noi chiamiamo flessicurezza.
Il secondo è quello di riportare a governo le dinamiche dei flussi migratori che oggi sono fuori controllo, sempreché per controllo non si intenda la marea inarrestabile di scartoffie che sta seppellendo migliaia di poliziotti e di altri funzionari pubblici e vessando qualche milione di lavoratori stranieri ed i loro datori di lavoro.
I nostri operatori impegnati tutti i giorni tra gli immigrati ci suggeriscono che più che di nuovi ingressi anche questo decreto stagionali 2010 sarà, nei fatti, soprattutto una sanatoria (con regolarizzazione provvisoria) che si aggiunge a quella, non ancora conclusa, di colf e badanti.
Come riportare a governo questo caos? Non certamente con un inapplicabile federalismo (regionalismo) dei permessi di soggiorno (che oltretutto ci ricorda tanto le proposte di recinzione regionale delle assunzioni nel pubblico impiego).
Serve piuttosto che tutti riducano ad un tasso di accettabilità razionale l'ideologismo con cui si è operato fino ad oggi sull'immigrazione, prendendo atto che si tratta innanzitutto di una questione che riguarda il lavoro e non la polizia. Poste queste condizioni i rimedi arriveranno uno dopo l'altro.
Ci piacerebbe molto che il Veneto facesse da apripista in questa materia, visto che tra meno vent'anni un lavoratore su tre sarà uno stranieri o un figlio di immigrati.
Non possiamo permetterci altri vasi incomunicanti.

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