Più femminile, più internazionale e più anziano: le chances del Veneto

Giovedì, 10 gennaio 2013

Il 15° Censimento della popolazione italiana consegna le prime fotografie del nostro Paese, qualcuna, più dettagliata, ritrae anche regioni e città. Il confronto con quelle di dieci anni fa ne evidenzia i cambiamenti intervenuti ed il Veneto si conferma come partecipe delle principali dinamiche in atto sia in Italia che in Europa.

Le persone che abitano il Veneto sono sempre più donne, sempre più con patrie (proprie o dei propri genitori) diverse dall’Italia, sempre più anziane di età. Gli esperti affermano che sono tendenze in atto, cambiamenti destinati a proseguire nel tempo e quindi a diventare sempre più consistenti nella quantità e anche sempre più influenti nella vita sociale.

Alcune considerazioni vanno quindi fatte. La prima è che l’autarchia demografica è, non solo una ipotesi inaccettabile ma anche impraticabile. Insistervi non solo è anacronistico ma anche pericoloso. Così come lo è ogni visione sociale e conseguente prassi di governo (a qualsiasi livello e in qualsiasi ambito) basata su concezioni vecchie e superate della vita civile. Una di queste, non facile da sradicare, è quella di un Veneto che vede le donne, oggi la maggioranza della popolazione, marginali rispetto all’economia, al lavoro, alla guida delle comunità.  

Così è anche l’idea che gli immigrati (il 10% dei residenti) siano popolazione provvisoria, gente “a parte” dimenticando che senza queste persone saremmo in pieno declino demografico. Il continuo e progressivo invecchiamento poi, se da una parte suscita speranze, dall’altra fa cadere le illusioni sulla generosità del nostro sistema di welfare e apre le porte a chi, interessatamente, evita o contrasta il rinnovamento dei patti tra le generazioni, la vera risorsa che ci ha permesso di diventare un’area tra le più sviluppate d’Europa.

Cambiare queste concezioni è pressoché obbligatorio. Mettere in un angolo le capacità intellettuali, la voglia di fare, le energie produttive, il desiderio di migliorare la propria condizione della maggioranza della popolazione non comporta solo avvilire le persone ed immiserire le comunità ma anche castrare le possibilità di crescita. La crisi quindi non può e non deve essere l’emergenza per rimettere in secondo piano questi temi. Non sono infatti opzioni per la stagione delle vacche grasse ma opportunità, insostituibili, per dare impulso allo sviluppo. Vale per chi governa, vale per il sindacato che nella sua azione di contrattazione nei posti di lavoro e in quella di negoziazione con gli interlocutori istituzionali deve produrre fatti e segni concreti di rottura con il conservatorismo.

In Veneto, di progressivo, si può dire e fare molto, come la storia recente e passata ci insegna.