C’è sempre chi arriva dopo

Sabato, 04 aprile 2009

La contrattazione aziendale fa ancora paura? Alla Cgil sembra proprio di si.
Già nel 1953 la Cgil si dichiarò fermamente contrario alla proposta avanzata dalla Cisl di articolare la contrattazione del salario per settori produttivi o per azienda, spostando a questi due livelli l'iniziativa contrattuale che, superando il busto rigido della contrattazione nazionale, andava quindi a collegare le retribuzioni alla produttività e alla professionalità.
Giuseppe Di Vittorio accusò esplicitamente la Cisl di voler strappare quella solidarietà che univa i lavoratori all'interno delle categorie grazie al contratto nazionale, di mettere a repentaglio il reddito dei lavoratori collegando salario a produttività e di subordinarli all'interesse delle aziende.
Ci volle del tempo; poi la pratica della contrattazione articolata, ostacolata nelle fabbriche dai sindacalisti della Cgil, si impose in tutti i settori e comparti del lavoro producendo contratti aziendali e provinciali diffondendo la presenza sindacale. Questa vituperata svolta fu la carta vincente del sindacalismo italiano, assieme alla sua capacità di considerare gli interessi generali del Paese come propri dei lavoratori. Una delle regioni dove più ha dato frutti è proprio il nostro Veneto.
Oggi, a distanza di più di mezzo secolo, se facessimo un referendum tra gli attivisti e gli iscritti a qualsiasi sindacato ben difficilmente troveremmo qualcuno disponibile a rinunciare alla contrattazione articolata e di portare tutto sotto l'ombrello del contratto nazionale di settore.
Così la paura sembrava passata. tant'è che negli anni '90 si è avviata prima una discussione e poi una comune idea di cambiare un'altra volta il sistema contrattuale. Lo scorso anno Cisl, Cgil e Uil convennero in una proposta condivisa di riforma finalizzata a dare più aria, più spazio, più consistenza alla contrattazione nelle aziende e nei territori.
Da qui l'apertura di un tavolo di trattativa dove Confindustria, dopo tante perplessità, ha accettato di parteciparvi con una reale volontà di arrivare ad un accordo: ciò che è avvenuto il 22 gennaio scorso con la firma di tutti, ad eccezione di quella della Cgil, auto-esclusasi nelle ultime battute della trattativa. La svolta, il cambiamento che impone una riforma anche del modo di fare sindacato (così ne parla Pietro Ichino) torna a fare paura.
Le argomentazioni, a parte le scontate diverse interpretazioni "tecniche", espresse dalla confederazione di Epifani, non sono infatti dissimili a quelle del 1953. Magari con una terminologia un po' più moderna e meno da scontro tra grandi ideologie, ma siamo sempre sulle stesse cose: il salario che non viene tutelato, la divisione dei lavoratori e via così.
In effetti, a differenza del 1953, il no è dettato da altre ragioni, principalmente quella di fare opposizione politica al governo.
Noi intanto, nel mentre siamo impegnati ogni giorno a costruire la rete di protezione sociale contro la crisi, stiamo preparando i nostri quadri e dirigenti a coltivare al meglio le grandi opportunità che la riforma rende disponibili.
Tra qualche anno, quando la nuova contrattualità sarà pratica attiva e non oggetto di conflitto politico, tutti avranno modo di rivedere i loro giudizi e dimenticare le paure.
In fin dei conti c'è sempre qualcuno che arriva dopo.

Riforma della Contrattazione