Crisi: guardiamo in faccia alle persone

Giovedì, 09 gennaio 2014

Affrontare la crisi, intervenire sulle cause che l’hanno generata, far ripartire la crescita, significa operare efficacemente sui grandi temi come la lotta agli sprechi, la riduzione del cuneo fiscale, una maggiore competitività del sistema Italia (e Veneto), il lavoro e altro ancora. Tutto ciò però non ci autorizza a non guardare in faccia chi la crisi la sta pagando sulla propria pelle.

Parliamo di quelle persone, lavoratori e famiglie, che non hanno reddito avendo perso il lavoro. Persone che, nei fatti, stanno scivolando o sono già entrate in condizione di povertà. Non sono poche, basta considerare la crescita esponenziale degli sfratti per morosità, le file agli uffici dei servizi sociali dei Comuni, le borse della spesa distribuite dalla Caritas e da altri enti benefici, le abitazioni dove il riscaldamento è messo in funzione forse qualche ora al giorno se non spento del tutto. Purtroppo non andranno a diminuire nei prossimi anni, al contrario: le file del disagio economico andranno ad ingrossarsi.

Guardarle in faccia significa innanzitutto fare tutto ciò che è possibile per ridurre il loro disagio. A cominciare dalla capacità di mettere rapidamente a loro disposizione tutti i sussidi di cui possono beneficiare. Non tutte sono in grado di sopportare una attesa che, troppo spesso, si prolunga per mesi e mesi. Non sottovalutiamo le tante cose positive che, a questo proposito, sono state già fatte: pensiamo solo alla velocizzazione delle procedure messa in atto dall’Inps per la liquidazione delle indennità di disoccupazione, lo sforzo organizzativo dai patronati sindacali come l’Inas Cisl, le nuove procedure sulla Cig in deroga attivate in Veneto. Ma tutto ciò non basta: le emergenze non sono ancora sempre affrontate con la necessaria prontezza. Le responsabilità non sono solo del governo e della macchina burocratica nazionale. Certamente il modo con cui sono stati rifinanziati gli ammortizzatori sociali per il 2014 creerà ritardi di pagamento ancora maggiori di quelli che abbiamo avuto nel 2013: solo in Veneto almeno 8.000 disoccupati devono ancora ricevere gran parte del dovuto sussidio. Se il governo non provvede, come continuiamo a chiedere, saremo costretti a fare difficili scelte sulle precedenze. In tutti i casi riteniamo sia necessario, a livello veneto, che tutti i soggetti interessati (privati e pubblici) realizzino a breve una ricognizione accurata su tutta la macchina organizzativa ed amministrativa che sovraintende i sussidi sociali, con un unico obiettivo: trovare le modalità per ridurre i tempi tra domanda e risposta.

Anche i Comuni devono essere messi in condizione di fare meglio la loro parte, di rispondere al ruolo di prima linea nel rapporto tra cittadini ed istituzioni e di rappresentanza della comunità. Anche se la frammentazione istituzionale (che però non si intende superare con le fusioni), la scarsità di risorse (a cui non si è sempre voluto dare risposta riducendo spese inutili e concorrendo alla lotta contro l’evasione fiscale), la complessità delle norme nazionali (alle quali si è scelto di aggiungerne di ulteriori, a volte discriminatorie) sono ostacoli reali.

Ai servizi sociali dei nostri comuni (come nelle sedi sindacali) arrivano sempre più persone (e famiglie) umiliate, a cui sono venuti a mancare due pilastri su cui si fonda la dignità umana: il lavoro e le risorse economiche per vivere. Persone (e famiglie) a cui “sa di sale” affacciarsi a quegli uffici e non solo per orgoglio ma anche sapendo che si tratta dell’ultima chance.

Meritano rispetto, attenzione e risposte concrete ed immediate. E non perché altrimenti sale la rabbia.