Veneto. Le dimissioni volontarie non sono un paradosso

Mercoledì, 23 marzo 2016

Il provvedimento del governo che rende obbligataria la comunicazione telematica delle dimissioni ha posto fine all’indegna pratica delle dimissioni in bianco portando a conclusione un percorso legislativo avviato nel 2008 dal governo Prodi e poi impantanatosi.
Seppur accolta con grande indifferenza, questa scelta ha indirettamente richiamato l’attenzione sulla realtà delle dimissioni volontarie (o consensuali) dal posto di lavoro e le “sorprese” non sono mancate.
L’Agenzia Veneto Lavoro certifica che nella nostra regione negli ultimi 4 anni (tutti difficili per l’occupazione) sono state presentate in media 140mila dimissioni volontarie da un posto di lavoro dipendente. Ipotizzando che qualche lavoratore lo abbia fatto più volte nel corso dello stesso anno, si può stimare che i dimissionari sono stati almeno 120mila. La cifra è sorprendente per la sua consistenza in valore assoluto, ma anche se proporzionata alla media delle assunzioni dello stesso periodo: circa 900mila all’anno.
Numeri che dimostrano come, anche in situazioni difficili, c’è chi si tiene stretto il posto che occupa ma c’è anche chi è pronto a lasciarlo.
Un numero così alto di dimissioni non può essere spiegato solo con la casistica dei lavoratori che si dimettono per andare in pensione, oppure perché non vengono pagati dal datore di lavoro o ancora perché non sopportano più le violazioni dei loro diritti. Anche se vi aggiungiamo i dimessi “in bianco” restiamo lontani dalla comprensione della portata di questo fenomeno e delle sue cause.
Siamo di fronte quindi ad un paradosso? Non proprio. Così sembrava anche quando, qualche anno fa, sempre nel pieno della crisi, si lanciò l’allarme delle decine di migliaia di posti di lavoro disponibili e non coperti perché nessuno si presentava per occuparli.
Il fatto è che, man mano che si affinano gli strumenti di indagine e di monitoraggio delle dinamiche del lavoro, la sua realtà si rivela a volte molto diversa da quello che siamo abituati a credere e a vedere.
Quello del lavoro in Veneto, si sta dimostrando sempre più un vero e proprio “mercato” ricco di varianti, dinamico, complesso e dove non mancano le contraddizioni.
Se si vuole governarlo in modo non superficiale bisogna conoscerlo bene e non fermarsi di fronte a quelli che possono sembrare dei paradossi.
Varrebbe quindi la pena conoscere l’insieme delle cause per le quali così tanti lavoratori (italiani e stranieri, con posto a tempo indeterminato o determinato, apprendisti o in collaborazione) lasciano volontariamente il posto di lavoro dipendente.
Sapere, per esempio, quanti lo fanno per scegliere il lavoro autonomo o, più semplicemente per passare ad un posto migliore (meglio pagato, più vicino a casa, più adatto alle proprie esigenze), ma anche quante sono le donne che si dimettono perché non riescono a conciliare lavoro e famiglia, è indispensabile per decidere come, dove e quando intervenire (ma anche per verificare l’efficacia delle scelte).
Certamente questo comporta una visione meno ideologica del mercato del lavoro e la necessità di fare piazza pulita di molte ricerche-fotocopia che non rendono giustizia alla complessità del mondo del lavoro: questo vale anche per le parti sociali (il sindacato in primis) e per la politica.
Ma non vi è alternativa se si vuole progettare e realizzare riforme efficaci in questo campo dove è evidente che c’è ancora molto da fare. Anche in Veneto.