Salviamo il turismo veneto

Sabato, 09 maggio 2020

Un po’ come l’aria quando manca, stiamo capendo quanto significhi l’industria turistica per il lavoro e l’economia veneta ora che, a seguito della pandemia, rischia di mancare al suo primo grande appuntamento: la stagione estiva.
E’ dalla fine degli anni ’50, ma soprattutto da metà del decennio successivo, che il grande rito balneare (ma anche montano, lacustre e, successivamente, culturale e agreste) mobilita enormi risorse imprenditoriali, professionali e lavorative per accogliere milioni di persone, turisti, provenienti sempre più da tutto il mondo.
Il fenomeno è tale che la popolazione in Veneto, tra giugno e settembre, cresce fino a superare, nei momenti di punta, i 7 milioni di abitanti.
Misurarlo nelle sue principali dimensioni per comprenderne la portata non è così semplice come può apparire. Perché la filiera che, ogni anno, si riconnette dall’Adriatico al Cadore fino al Garda comprende decine di migliaia di imprese (oltre 35.000 nel solo settore turistico), lavoratori dipendenti (150.000), lavoratori autonomi (almeno 50.000) e partite Iva.
Dentro a questo mondo, che va dai bagnini agli stagionali della nettezza urbana, dagli albergatori ai coltivatori con agriturismo, passando per gli addetti agli spettacoli e frotte di signore delle pulizie, c’è chi vive esclusivamente con quel reddito (per i dipendenti vale un miliardo al netto di tasse e previdenza) e chi ne beneficia per integrare quello famigliare.
L’effetto occupazionale è così impattante che, per reggere la necessità di personale (il mercato del lavoro del settore nel corso degli anni è notevolmente cambiato), vengono integrati nel sistema lavorativo decine di migliaia di immigrati, compresi i “pendolari stagionali” della Romania e della Polonia.
Potrebbe essere quindi una sottovalutazione affermare che nei conti correnti di almeno 250.000 famiglie entrano soldi prodotti direttamente o indirettamente dal sistema turismo. Una parte di esse vive nei paesi orientali dell’Unione Europea.
Per il Veneto i problemi più gravi derivati dalla pandemia deriveranno proprio dal blocco o dalla riduzione (è presto per dirlo) dell’attività turistica e, come già ora si capisce guardando i numeri dei Centri per l’Impiego, la grande crisi occupazionale la avremo ad agosto, con il picco delle non assunzioni, dei posti di lavoro mancanti.
Per questo stiamo sostenendo che per salvare il turismo (il sistema turistico) veneto serve un piano straordinario mirato alle specifiche del settore.
Dal sostegno finanziario alle imprese (più della metà sono famigliari) ad una forma di Cig a specchio (indennità proporzionata al lavoro dello scorso anno) per i lavoratori stagionali, che vanno coinvolti in percorsi di politiche attive e riqualificazione professionale, fino ad un protocollo per la riapertura in sicurezza di tutta la filiera. Va, infine, ripensata la politica regionale sulla promozione turistica, che oggi, ancor più che in passato, ha bisogno di una visione strategica all’altezza della complessità ed universalità del mercato turistico; è necessario partire dalle difficoltà create dalla pandemia Covid-19 per costruire nuove opportunità e potenzialità di settore.