Referendum trivelle: i motivi del nostro NO

Giovedì, 14 aprile 2016

Credo che nessuno consideri fondamentale per la nostra democrazia che i cittadini italiani vengono chiamati a decidere, con un referendum, se alcune decine di piattaforme per l’estrazione di carburanti (in gran parte gas) dal mare antistante le nostre coste debbano cessare la loro attività tra dieci o vent’anni (alla scadenza cioè delle concessioni in atto), oppure possano proseguire fino ad esaurimento, ossia quando non ci sarà più nulla estrarre.
Non a caso, i promotori ed i sostenitori del Sì hanno impostato la loro campagna su altri argomenti (basta trivellare il mare e la terra italiana, basta con gli idrocarburi, basta con i disastri ambientali) per dare rilevanza alla scadenza e motivazioni al voto.
In effetti le domande vere, ben nascoste sotto la banalità e la modestia del requisito ufficiale, a cui dovrebbero rispondere i cittadini sono altre e, queste sì, fondamentali per lo sviluppo dell’Italia (e di tutte le sue Regioni).
La prima è: vogliamo che le politiche dell’approvvigionamento energetico vengano decise da 20 Regioni (ed altrettanti Consigli Regionali)? La nostra risposta è No. Spetta allo Stato (Parlamento e Governo). Il “regionalismo” energetico è stato, giustamente, definito un suicidio per l’Italia. Non a caso in nessun Paese del mondo esiste questo sistema localistico.
La seconda domanda è: vogliamo che le scelte per l’approvvigionamento energetico siano riconosciute come questioni “del mio cortile”? Anche qui la nostra risposta è No. Non possiamo istituzionalizzare quel fenomeno conosciuto come Nimby per cui un qualsiasi gruppo locale può mettere il veto non solo sulle scelte dello Stato, ma anche su quelle della propria Amministrazione Regionale o Comunale.
La terza domanda è ancora più importante: vogliamo che sia decretata l’impossibilità di conciliare le attività produttive con la tutela dell’ambiente e della salute delle persone? In questo caso il nostro No è doppio: non intendiamo accettare che, per principio, sviluppo e ambiente siano considerati uno in contrapposizione all’altro. L’Italia, Veneto compreso, è questo e quello.
Le contraddizioni di questo referendum, residuo di un pacchetto abrogazionista ben più ampio e già superato dai successivi provvedimenti di legge, sono molte.
Tanto per citarne una: tra le Regioni che lo hanno promosso non vi è l’Emilia Romagna davanti al cui litorale si trovano i tre quarti delle concessioni, mentre c’è invece il Veneto dove le due concessioni interessate non sono attive.
Non posso infine non riscontrare come il “posizionamento” delle rappresentanze politiche si sia delineato non sulle trivelle, ma sul pro o contro il Governo in carica.
Evidentemente si vuole fare del 17 aprile una specie di prova generale prima del referendum sulla riforma costituzionale che si svolgerà a ottobre.
Sono tutti ulteriori argomenti che aggiungono ulteriori dubbi sulla opportunità di questo referendum dove i giochi politici prevalgono di gran lunga sulla sostanza del quesito.