Lavoro. La faccia (per ora) vincente dei voucher

Domenica, 15 maggio 2016

L’esplosione del ricorso ai voucher non poteva passare inosservata. L’Inps (a cui spetta l’emissione dei buoni lavoro) spiega che nel solo Veneto (regione che, sulla base di alcuni parametri, ne è la prima consumatrice) oltre 170 mila persone sono state pagate per il loro lavoro “accessorio” con questo sistema; tante quanti i dipendenti dell’industria metalmeccanica veneto.

Non possiamo quindi non porci una domanda banale: siamo di fronte ad una benefica, grande (magari la più grande?) regolarizzazione del lavoro nero? Oppure siamo di fronte ad una eterogenesi dei fini: i voucher, nati per far emergere il nero, ne sono diventati un incentivo?

Non serve essere degli scettici per dire che la prima risposta non è quella buona. Le testimonianze che abbiamo raccolto dai diretti interessati, anche grazie al Numero Verde della campagna Stop Voucher! ce lo confermano, così come l’osservazione quotidiana della realtà.

Sembra invece prevalere sempre più la seconda ipotesi. Troppi gli indizi che ci portano a considerare i buoni-lavoro come una forma di assicurazione (per il datore di lavoro) sul lavoro irregolare. A parlare non è solo la loro quantità (se non cambiano le regole in Veneto nel 2016 arriviamo a 20milioni di pezzi da 10 euro) ma la diversa diffusione nei vari settori del lavoro: quasi inesistente nel lavoro domestico (dove il lavoro occasionale è imponente), ampia nell’agricoltura (dove per ogni 3 assunti con contratto di lavoro dipendente c’è un lavoratore con voucher).

La fortuna dei voucher non sembra quindi tanto dettata dal loro profilo virtuoso- una forma semplice, sburocratizzata, duttile e flessibile per “mettere in regola” chi viene occupato in lavori occasionali- ma dall’altra loro faccia: il più semplice, duttile, ecc. canale di instradamento del lavoro irregolare. Un fiume mai prosciugato e, forse, prosciugabile.

Non a caso la loro ascesa coincide con una pesante variate sul disposto legislativo regolatorio. Nel 2012 la riforma del mercato del lavoro del governo Monti- Fornero restringe le maglie dei contratti di collaborazione e del lavoro a chiamata (dove aveva fatto il nido l’irregolarità) ma allarga a dismisura quelle del lavoro accessorio. Cancellando il requisito della occasionalità e la limitazione dei contesti lavorativi dove possono essere utilizzati la riforma dispone una insperata opportunità per le imprese e gli imprenditori che vivono ai margini della legalità: travasare l’offerta di lavoro irregolare in un contenitore più sicuro, meno costoso, totalmente flessibile (per loro). Ma non finisce qui: il sistema voucher in poco tempo si rivela un formidabile strumento per precarizzare anche una parte del buon lavoro. Basta organizzarlo in modo che occasionale diventi il lavoratore.

La totale esenzione fiscale (fino a 7.000 euro netti) è poi una esca allettante anche per una parte dei voucheristi.

Siamo arrivati così ad un 2016 inoltrato. Il clamore è alto e cresce la pressione sociale e politica attorno ai buoni-lavoro. Tre le posizioni che si affacciano. La prima sostenuta al momento da alcuni rappresentanti del governo che intende chiudere il caso introducendo un meccanismo più preciso di “tracciabilità”. All’opposto la Cgil che raccoglie firme per cancellarli con un referendum popolare. Da parte nostra riteniamo invece necessario un intervento legislativo che riporti lo spazio del lavoro accessorio remunerato con voucher alla sua funzione originaria, anche con un miglior monitoraggio e alzando la quota del contributo previdenziale.

Crediamo che in questo modo, spartendo il buono dal cattivo, si possa proseguire nel contrasto al lavoro nero. Sapendo che questa battaglia non avrà mai fine ma che non può essere lo Stato e la legge a dare facile copertura a chi guadagna proprio non rispettando le regole del gioco.