Stampa e giustizia, disincrociare i veti

Martedì, 08 giugno 2010

Confesso una personale debolezza: non sopporto chi dice "no" a prescindere, per partito preso. Tutte le idee, tutte le proposte, devono poter essere analizzate e, se del caso, approvate o respinte senza il condizionamento del pregiudizio. Anche quelle che, a una prima lettura, sembrano davvero indigeribili. Fedele a questa linea, ho letto con attenzione le proposte del governo in materia di intercettazioni, soprattutto per quanto riguarda i risvolti e le ricadute nell'esercizio della mia professione di giornalista. E alla fine ho deciso che sì, tutto sommato sono d'accordo con il progetto governativo.  Ma prima di essere messo all'indice dalla stessa categoria alla quale appartengo, aggiungo una condizione: che contemporaneamente si metta mano alla riforma della giustizia. Ovvero, il patto è questo: io giornalista mi impegno a non scrivere nulla su un'inchiesta in corso fino alla fine delle indagini preliminari, ma il governo si impegna a far sì che le indagini preliminari non possano durare più di pochi mesi, come accade nei Paesi civili, e non anni come a volte accade in Italia. Come dite? La mia è una proposta irrealizzabile? Lo so bene. Ma così è almeno chiaro di chi è la responsabilità della mancata riforma. Ed è altrettanto chiaro il motivo per il quale continuo a ritenere che questo Paese potrebbe migliorare solo perseguendo una strada di riforme condivise basandosi sul "rifiuto del no a prescindere". Se a una sfilza di "no" si opponesse una sfilza di rilanci, di "si-ma-anche", cadrebbero i veti incrociati. E cadrebbero anche molti propositi di facciata. Ma il punto è proprio questo: quando la politica indossa la maschera della faziosità, non agisce più per il bene comune ma solo per il bene di una parte (la propria). Lo stesso accade quando a scioperare è una delle componenti che oggettivamente è causa della giustizia da Terzo mondo con la quale dobbiamo fare i conti in Italia: la magistratura. Quando a lavoratori dipendenti e a statali che guadagnano 1.500 euro al mese viene chiesto di rinunciare a quasi mille euro l'anno, sarebbe opportuno un soprassalto di buon senso da parte di chi è chiamato a rinunce di simile entità ma a fronte di stipendi che partono da 3.500 euro e arrivano a 15 mila, con 51 giorni di ferie l'anno. Altrimenti, servono su un piatto d'argento l'obiezione che quello delle toghe è uno sciopero politico. E una volta stabilito che i magistrati operano su un piano politico, la delegittimazione è compiuta. Lo sconforto deriva dal fatto che tutte le parti in causa sembrano avere il sotterraneo interesse a mantenere le cose come stanno. Cambiarle, significherebbe mettere in discussione anche le utilità che da una parte e dall'altra derivano da una giustizia pachidermica. Si preferisce indicare esempi virtuosi stranieri ("in Inghilterra si fa così", "in Francia si fa colà") tacendo accuratamente sulle parti di quei sistemi che - se applicate in Italia - metterebbero a rischio questa o quella convenienza. Per dire: nel grande e lodato sistema giudiziario inglese non esiste la possibilità di parlare di un'inchiesta fino alla fine delle indagini preliminari. E la lunghezza di queste è minima. Nessuno grida al bavaglio, e nessuno grida alla giustizia incivile.

Ario Gervasutti