L’Università di Padova per il patto federativo del Nordest

Martedì, 14 settembre 2010
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Università di Padova e Veneto: due attori su uno stesso territorio.
Interpretano parti diverse, ma il palcoscenico è il medesimo. D'obbligo, quindi, la massima collaborazione perché la recita risponda alle esigenze di crescita della comunità e non scada, per esserci ignorati, in farsa. Non ci è consentito, non possiamo correre noi, Università, e le altre componenti del territorio veneto, Regione, Provincia, Comuni, forze economiche e sociali, su binari divergenti. Dobbiamo ritrovarci nelle scelte. A noi tocca insegnare ad imparare, forgiando l'unico capitale a nostra disposizione, i nostri giovani, probabile classe dirigente di domani, aumentandone la qualità attraverso la formazione e la ricerca. Dalle istituzioni venete attendiamo sinergia, sostegno, collaborazione, per dare insieme risposte alle attese e alle richieste della società veneta. Il patrimonio Università, nel suo complesso si deve porre a disposizione del territorio, che si estende a tutto il Nordest, e, di rimando, tutti gli attori esterni all'ateneo devono trovare in esso un punto di riferimento stabile, interagendo, collaborando, contribuendo a superare i tanti ostacoli di questi momenti bui, al fine di riportare i benefici che ne deriveranno sull'intera comunità .
L'Università di Padova ha nel proprio Dna il legame stretto con il territorio fin dalle origini. Il Comune fin dal 1260 mette mano al portafoglio per garantire uno stipendio ai docenti. E' un rovesciamento della prassi consolidata da sempre nelle università dell'epoca, da Salerno a Bologna, da Oxford alla Sorbona, dove sono gli iscritti a pagare gli insegnanti, sulla base di un contratto tra "dominus" (il maestro) e "socius" (lo studente): il primo impegnato a insegnare l'esercizio di una disciplina, il secondo a riconoscere l'autorità del docente e a retribuirlo per questo. Già due anni prima, inoltre, lo stesso Comune ha istituito prestiti in favore degli universitari (precursori degli odierni "prestiti d'onore"); e poco dopo ha dichiarato "esenti dai pubblici aggravi", come dire una vera e propria detrazione dalle tasse, le persone che si impegnino a prestare agli studenti 4mila lire, all'interesse di 4 denari per lira al mese. Venezia stessa, quando nel 1405 conquisterà Padova, non modificherà questa linea di condotta, non solo mantenendo all'università la posizione di sostanziale autonomia rispetto alla città, ma facendone anche l'unico ateneo riconosciuto della Repubblica e investendovi cospicue risorse (3mila ducati nel 1406, portati a 4mila l'anno successivo): già nel 1407 verrà introdotto il divieto per tutti coloro che vivono nel suo territorio di conseguire titoli accademici in sedi situate "al di qua delle Alpi", cioè in Italia, e si fisserà l'obbligo di frequenza a Padova.
L'università per sua stessa definizione è "universale", e perciò ha una missione che ampiamente travalica ogni confine regionale, ma non può prescindere dallo stretto legame con il territorio in cui opera. Padova in questo senso ha da tempo un rapporto stretto con la Regione e gli enti locali, consapevole del fatto di rappresentare una città nella città con i suoi 60mila studenti, almeno un terzo dei quali provenienti da fuori, e con i 3mila docenti. Un importante passo avanti in questa direzione è stato dato dalla istituzione della Consulta del territorio, organismo di riferimento e di consultazione per la messa a punto delle strategie, del bilancio, dei piani di sviluppo; in una parola, per tutto ciò che riguarda l'impianto di fondo dell'ateneo, nel suo raccordo con il territorio di cui è espressione.
Il rapporto con il territorio presenta risvolti economici ma non soltanto, di cui l'ateneo deve tenere conto. La presenza di una sede universitaria di queste dimensioni alimenta un vasto indotto; inoltre, di suo, il termine diritto allo studio implica una serie di interventi che vanno ben oltre l'attività didattica in senso stretto ed investano i servizi e la qualità di vita dello studente.
C'è poi la partita strategica del rapporto tra ricerca e territorio. E' evidente che la ricerca non può essere fine a se stessa, e che deve avere ricadute rapportate con le caratteristiche socio-economiche della realtà in cui opera. Ma al tempo stesso non è accettabile l'idea che la ricerca debba essere subordinata alle esigenze dell'impresa, e così pure la didattica: compito dell'università non è insegnare una professione, ma insegnare a "imparare ad imparare", esigenza fondamentale nella nuova economia della conoscenza.
La dimensione universitaria nella nostra realtà non può essere solo padovana: territorio significa l'intero sistema Nordest, in cui operano 8 atenei, 57 facoltà, 214 dipartimenti, oltre a centri strategici come il Cnr, l'Istituto di fisica nucleare, l'Itc di Trento, l'Area park di Trieste. E' per questo che l'ateneo padovano ha avviato il percorso di un patto federativo tra gli atenei del Nordest, da attuarsi per gradi ma all'interno di una visione strategica che mira a mettere in rete le singole realtà. Ci sono già state risposte significative a livello veneto, e su questo c'è stata l'adesione convinta di realtà come la Regione e Confindustria.
Resta peraltro condizionante il nodo delle disponibilità economiche. Oggi in Italia ci sono 97 atenei, quasi uno per provincia, con una dispersione di risorse e una logica distributiva che finiscono per penalizzare le realtà virtuose, tra cui la nostra che è riuscita fin qui a mantenere l'equilibrio finanziario senza compromettere la qualità della didattica e della ricerca, come attestato da numerose graduatorie: l'ultima di alcuni giorni fa, ci ha visto compiere un balzo in avanti di 51 posti a livello mondiale.
Con i tagli previsti dal governo, nel 2011 le spese per il personale nelle università italiane rischiano di essere superiori al fondo statale ordinario, previsto per un ammontare di 6 miliardi, il 17 per cento in meno rispetto al 2010.
Resta il nodo di fondo di un investimento inadeguato dell'Italia nell'università. Per fare un esempio, negli Usa il governo federale non contribuisce direttamente alle spese delle università, ma finanzia gran parte della ricerca tramite le sue agenzie federali, come la National Science Foundation; la ricerca è anche finanziata da privati tramite contratti e donazioni. Gli atenei trattengono il 30 per cento dei fondi acquisiti per ricerca, destinandoli alle spese generali.
Secondo i dati Ocse dell'annuale rapporto, presentato in questi giorni a Parigi, l'Italia impiega nell'istruzione solo il 4,5 per cento del Pil: solo la Slovacchia è più indietro, sui 30 Paesi presi in esame. La spesa media annua complessiva per studente è di 7.950 dollari, inferiore alla media Ocse, e soprattutto focalizzata sulla scuola primaria e secondaria a scapito dell'università, dove la media annua per studente inclusa l'attività di ricerca è di appena 8.600 dollari contro i 13mila della media Ocse. In queste condizioni è evidente che gli atenei possono limitarsi all'ordinaria amministrazione, e per giunta con difficoltà. Occorre che le forze rappresentative del territorio stringano un'alleanza virtuosa con il mondo universitario per metterlo in condizione di svolgere al meglio il proprio ruolo.
In definitiva l'Università rinuncia ad ogni tentazione di isolamento per dialogare con la realtà politico-sociale in cui opera. Dialogo vuol dire collaborazione, confronto, ma anche condivisione, parlarsi e ascoltarsi, conservando ciascuno il proprio ruolo, lontani da condizionamenti e pressioni. Insieme sarà possibile rendere maggiormente significativi i benefici economici e sociali che ricadranno sul territorio legati alla presenza dell'Università di Padova.

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