Un patto veneto sull’immigrazione

Mercoledì, 06 ottobre 2010

Le considerazioni del presidente Zaia sugli immigrati ed in particolare i suoi propositi verso gli immigrati veneti dichiarati nell'ampia intervista rilasciata al Gazzettino ci chiama direttamente in causa in quanto sindacato che rappresenta e tutela decine di migliaia di lavoratori iscritti che hanno un paese di origine diverso dall'Italia. Come è il lavoro in Veneto, così è il sindacato.
Aggiungiamo che ne siamo coinvolti anche per i nostri impegni internazionali: siamo fondatori della più grande organizzazione sindacale internazionale: la Cisl, dove la "I" non sta per Italia ma per Internazionale, ora CIS: 176 milioni di iscritti in 155 paesi del mondo. Ogni sindacato membro (sono 311) è tenuto a sostenere i diritti dei lavoratori immigrati nel proprio paese. Tanto per capirci: il sindacato israeliano deve tutelare i frontalieri palestinesi.
Ciò premesso veniamo ai contenuti dell'intervista. Zaia dice alcune cose sulle quali siamo assolutamente d'accordo sia per convinzione nostra ma soprattutto perché così la pensano i nostri iscritti immigrati. Ad esempio: un delinquente è un delinquente, punto e basta. E poi: gli immigrati sono, soprattutto, lavoratori stranieri in territorio italiano. Altre che invece sono inaccettabili come l'equazione tra criminalità e clandestinità. Sappiamo tutti che, a causa del sistema con cui si entra in Italia regolarmente, l'80% degli stranieri oggi regolarmente soggiornanti sono arrivati e sono vissuti per un tempo più o meno lungo da clandestini. Dunque la differenza tra clandestino e regolare non è lombrosiana ma riguarda il possesso o meno di un pezzo di carta (o tessera magnetica). Lo diciamo non perché siamo buonisti ma perché impegnati a combattere il lavoro nero che, per gli stranieri, ha il suo viatico nella mancanza di un permesso di soggiorno.
L'intervento diretto del presidente dimostra però che l'immigrazione è tema che il Veneto deve affrontare come questione strategica per il suo futuro e non (solo) sui media. Come tutti sappiamo la nostra regione è, e potrà essere, una forza economica e sociale solo con l'apporto, sempre più consistente, dell'immigrazione. Questo non vuol dire non affrontare seriamente i contingenti problemi determinati dalla crisi. E' possibile che si possa finalmente passare dalle schermaglie ad un progetto comune? Noi pensiamo di sì. Sindacati ed imprese hanno piena coscienza del ruolo dell'immigrazione e la politica regionale non ha scadenze elettorali vicine.
Gli spazi su cui praticare una specifica politica immigratoria sulla dimensione regionale ci sono, senza cercare assurdi come le quote regionali o le deliberazioni da azzeccagarbugli della discriminazione amate da qualche amministratore locale.
Sul metodo da usare proponiamo che si cominci dalla considerazione di due punti di vista: da una quello dei soggetti che hanno necessità di lavoratori non italiani: il mondo del lavoro (sindacati ed imprese) e le famiglie, dall'altra di chi viene in Italia, nella nostra regione, per trovare quelle prospettive di lavoro e reddito che non trova nel paese. Se questi due soggetti ed interessi trovano il giusto punto d'incontro possiamo dire che il più è fatto. Poi si provvederà a integrarvi attorno l'azione delle istituzioni pubbliche.
Di fatto stiamo proponendo che la Regione Veneto, con l'egida del suo presidente, sperimenti la realizzazione di un Patto sull'immigrazione che ponga fine a tante discussioni e diatribe, spesso inutili e dannose, e non costringa le rappresentanze sociali e civili ad alzare ogni tre giorni i vessilli dei diritti e dei contro-diritti, il richiamo ai principi e ai sacri testi.
Insomma proponiamo al presidente Zaia di assumere, anche in questo tema, la linea del "Veneto che (ben) fa" il cui presupposto sta nella condizione del "Veneto che sa" e che "ragiona".

Franca Porto